Prendiamo parola come persone trans migranti

Locandina Divergenti

Riceviamo e condividiamo questo intervento di una compagna attivista, Denise, da cui speriamo inizi una (auto)riflessione collettiva all’interno delle nostre comunità. L’intervento è stato originariamente fatto al festival Divergenti 2020, organizzato dal MIT, e può essere ascoltato qui, con audio sia in inglese che italiano

Ciao a tutte, tutti e tuttu. Sono molto onorata di essere qui, ed anche emozionata. Parlerò dei problemi delle persone trans migranti, come me. Sono una persona trans migrante e questo è un momento importante per me e per tuttu noi, perchè è importante parlare dei problemi da “dentro”, altrimenti è molto facile che nascano delle incomprensioni.
Il mio intervento sarà per punti.

1. Il primo problema riguarda il nome ed il riconoscimento legale, dei documenti. Questo è uno dei principali problemi per le persone trans migranti, stando a quello che vedo e di cui ho esperienza. Innanzitutto non siamo a nostro agio nell’usare il nostro dead-name ed il sesso sbagliato del documento. Per esempio, quando ci candidiamo per un lavoro, ci iscriviamo a scuola o ad un corso, perfino all’ospedale ci chiamano con i nostri dead-names. Ad esempio, un’amica trans e migrante è andata dal dentista e ha chiesto di essere chiamata con il suo nome scelto, ma le persone dell’ufficio hanno insistito a chiamarla con il nome sui documenti. Sappiamo che è possibile cambiare il nome sui documenti in Italia ma attraverso un processo non facile, che richiede molto tempo, e questo tempo ci fa perdere fiducia e ci mette in difficoltà. Insieme, lavorando collettivamente, possiamo cambiare qualcosa, parlarne, rendendo esplicito questo problema enorme al governo o a chi ne è responsabile.

2. Come persona trans immigrata è veramente difficile trovare lavoro in Italia, perché per un datore di lavoro sia l’essere trans che essere immigrata sono cose negative. Perfino a Bologna, nonostante si dica sia una città di mentalità “aperta”, è molto difficile trovare lavoro. Perchè ci considerano criminali: non avere sul documento il proprio sesso e il proprio nome crea nei datori di lavoro la convinzione che siamo criminali, mentre siamo solo persone che cercano di vivere la propria vita. E anche se si trova un lavoro, è molto probabile venire molestate sessualmente, o bullizzate, o subire mobbing, o licenziate. Per una persona trans migrante trovare e mantenere un lavoro è molto difficile, più difficile che per altre persone LGBTQIA+.

3. Il terzo punto riguarda le difficoltà durante la pandemia di Covid-19 e durante la quarantena. Certo, so che è un momento duro per tuttu, ma è davvero grave per le persone trans immigrate. Se già, come ho detto, è difficile per noi trovare lavoro, in questo momento è ancora più difficle sia trovare un lavoro che anche solo un posto in cui vivere. Come sapete molte persone trans migranti sono spinte a lavorare come sex-worker. Non lo dico perchè penso che il sexwork sia qualcosa di negativo, è un lavoro come un altro, ma non è la stessa cosa sceglierlo liberamente ed essere spinta a farlo quando non hai possibilità di altre scelte. In questo momento lavorare come sex worker è molto difficile, perchè è tutto chiuso, nessuno vuole rischiare ed uscire di casa. Durante la quarantena molte hanno dovuto lasciare anche questo lavoro. Molte di noi sono rimaste senza cibo, e siccome il sex-work non è considerato lavoro, non c’è nessuna assicurazione sanitaria, nessun intervento di aiuto da parte delle istituzioni. Quindi in questo momento non hanno lavoro e nessuno ne prende atto.

4. Un altro punto è la mancanza di informazioni sui diritti delle persone LGBTQIA+ migranti, diritti trans ed attivismo delle persone trans migranti. Molte di noi non hanno idea dei diritti che abbiamo, non ne sanno nulla e nessuno prova a spiegarglieli. All’interno della comunità LGBTQIA+ siamo quell* che incontrano i maggiori problemi e difficoltà, e questi problemi dovrebbero essere risolti, dovremmo parlarne, fare di più, ma siamo impossibilitate perché non sappiamo cosa o come fare. Vediamo attivist* e attivismo dappertutto ma non ci sono soluzioni per noi. Perciò molte persone trans immigrate pensano che l’attivismo sia inutile, una perdita ti tempo. Io mi considero attivista, e chiedendo spiegazioni ad altre persone trans migranti sul perchè avessero questa opinione, ho scoperto che molte si sono semplicemente rassegnate al fatto che questa vita invisibile sia l’unica vita possibile per una persona trans. Ma non è così! Come migranti transgender dovremmo poter vedere altri lati dell’attivismo e della comunità, ma raramente accade.

5. Questo punto è connesso al precendete: la mancanza di rappresentanza delle persone trans migranti nella comunità LGBTQIA+. Spesso non siamo inclus* e siamo invisibilizzat* nei gruppi LGBTQIA+. Anche a Bologna ce ne sono molti ma se guardiamo a chi c’è in quei gruppi, in quelle comunità, non vediamo nessun* come noi, non vedo persone trans migranti, non c’è nessuna. L’unica persona che vedo è Mazen e forse ce ne sono altre ma non mi capita mai di incontrarle. Ecco perché ci sentiamo alienate, ed è la sensazione più brutta. C’è un detto che dice che la cosa peggiore che si può fare ad una persona è comportarsi come se non esistesse, e loro si comportano come se noi non esistessimo. Ed, effettivamente, noi non esistiamo nei loro gruppi. E questa è la cosa peggiore che potrebbero farci, e sta accadendo all’interno della nostra comunità. Immaginate di avere un amic* gay, lesbica o bisessuale che finge che tu non esista… è doloroso. Ed è per questo che molt* di noi sono restie a collaborare con questi gruppi, con queste persone, perchè non ci sentiamo rappresentat*.

6. L’ultimo punto riguarda il privilegio bianco e la supremazia gay cis nella comunità. Altre persone parlano dei miei problemi al posto mio, ma io ho una voce e posso parlare dei miei problemi e delle mie richieste. Ma non ci invitano, non ci lasciano parlare e fanno sì che veniamo fraintes*, noi e le nostre richieste. Di solito uomini gay cis italiani, bianchi e privilegiati occupano, o meglio, invadono con la forza non solo i ruoli principali ma quasi tutti i ruoli nei gruppi LGBTQAI+. Difficilmente lasciano parlare autonomamente altru, non solo noi persone trans migranti, ma anche lesbiche, bisessuali, persone intersex, queer e trans. Le persone trans migranti sono lasciate per ultime nella comunità, gruppi ed assemblee LGBTQIA+, siamo le ultime a parlare. Voglio dare un esempio: quasi un anno fa durante il primo lockdown c’era un ragazzo gay cis bianco che parlava dei problemi delle persone trans in Italia durante la quarantena. Ha dichiarato che il nostro problema principale fosse l’accesso agli ormoni, ignorando tutti i nostri problemi. E per me è stato uno shock: fermi tutti. Chi sei tu bianco italiano cis uomo per parlare al posto mio? Abbiamo altri problemi più gravi, specialmente durante il lockdown. Non hai probabilmente nemmeno un amicu trans perchè è ovvio che non hai idea di quello che dici, ma stai parlando di noi in un incontro internazionale, una grande piattaforma, con altre persone di altri paesi. Ci stava rappresentando in quella conferenza senza sapere nulla di noi, lo vedete il problema? Come se un botanico entrasse in un giardino per curare un albero malato e si soffermasse a studiare l’albero sano. Sentire una persona italiana privilegiata che si erge a rappresentante dei nostri problemi è davvero stupido.

È difficilissimo risolvere tutti questi problemi, il punto non è trovare una soluzione qui e ora, ma piuttosto dare spazio a noi per parlare per noi stessu, noi vogliamo esistere e abbiamo bisogno che ci lasciate parlare, abbiamo bisogno di spazio. Ci sono molti gruppi in cui voi parlate e vi esprimete, e la stessa cosa vogliamo anche noi. Non vogliamo certo occupare e gestire tutto lo spazio come dei maschi gay privilegiati, noi vogliamo solo essere coinvoltu, parlare. Ne abbiamo bisogno.

Grazie per avermi ascoltata, grazie a tuttu.