Il punto di vista del B-Side Pride sul sex work

In questa fase storica di generalizzato precariato lavorativo il sex working sta diventando una risorsa per moltissime soggettività marginalizzate, soprattutto quando le vite si incrociano con le condizioni di classe, genere e provenienza. Non dimentichiamo che tantissime generazioni di frocie e trans, cacciate dalle loro famiglie d’origine, si sono ritrovatx nelle condizioni di vendere prestazioni sessuali per poter sopravvivere.

Al di là delle singole esperienze, il sex working ha rappresentato e rappresenta una delle poche possibilità di emancipazione per moltx di noi, fornendo un reddito immediato. Tuttavia ciò ha rappresentato un’ulteriore fonte di stigmatizzazione: frocie, trans, migranti e precarie, oltre a omofobia, transfobia e sessismo, devono fronteggiare lo stigma della puttana, o puttanofobia.

Il sex working è un “lavoro” e prima di tutto è un lavoro di/del genere: sappiamo bene come anche nei lavori cosiddetti “normali” ci venga richiesto di mettere in campo la seduzione, la persuasione, la bella presenza, l’abbigliamento adatto ad appagare o a sollecitare le aspettative. Tutto questo è parte integrante del nostro lavoro, perché la relazione di cura/seduzione che si costruisce è parte del servizio che viene venduto. Il sex working è lavoro e come tale necessita di diritti e tutele. Troppe volte il lavoro sessuale svolto in casa, in strada o online, è soggetto a violenze, proprio perché non riconosciuto e quindi condotto in situazioni. Le leggi attuali sono insufficienti perché criminalizzano la nostra attività e quindi i nostri corpi per questo lottiamo per la totale autodeterminazione e decriminalizzazione del sex working.

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