Rivolta Pride – Bologna Transfemminista

I collettivi e le associazioni LGBTQIA+ di Bologna con il nodo locale di Non Una Di Meno si fanno carico di una nuova progettualità politica e organizzano una settimana transfemminista (26 giugno-3 luglio 2021)

I due appuntamenti principali sono la manifestazione “Bologna nel 1 Luglio Transfemminista Transnazionale” e il Rivolta Pride del 3 Luglio.

Il percorso di costruzione del Pride di quest’anno sarà un percorso dal basso e orizzontale, e per permettere a tuttə di partecipare abbiamo organizzato delle assemblee pubbliche.

Il prossimo appuntamento è giovedì ai Giardini Margherita alle 19:00 il 24 giugno.

Sarà possibile partecipare a tutte le assemblee anche online, scrivendo alle nostre pagine per richiedere il link.

Chi siamo?

Siamo collettivi, associazioni, attivistə che dal 2019 hanno preso parola insieme per rispondere alla proposta di legge contro l’omotransfobia dell’Emilia Romagna: abbiamo scritto e manifestato ponendo l’accento sui reali bisogni materiali e contro gli scambi politici sui nostri corpi.

Abbiamo poi aderito alla piazza nazionale del 15 maggio e organizzato la piazza di Bologna del 16 maggio sotto lo slogan #moltopiudizan. Abbiamo preso parola a partire dalle differenze espresse dalle nostre sessualità e generi dissidenti, come persone con disabilità e siero-coinvolte.

Chiediamo molto più di Zan perché una misura repressiva non ci basta: desideriamo e abbiamo diritto all’accesso alla salute, ad un reddito di autodeterminazione e alla cittadinanza e al permesso di soggiorno svincolati dalla famiglia e dal lavoro.

Bologna nel 1 Luglio Transfemminista Transnazionale

La manifestazione si concentrerà sul ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul e coinvolgerà le piazze di tutto il mondo (appello nazionale di Non Una Di Meno)

Dopo il ritiro di Erdogan la Convenzione viene ora respinta in tutta l’Europa centro-orientale.

Ritirandosi dalla Convenzione, Erdogan vuole garantire l’impunità e la legittimità della violenza domestica e di Stato contro le donne e le persone LGBTQIA+ – che ha subito un aumento proprio durante il coprifuoco imposto dopo il ritiro dalla Convenzione –, così come le torture per mano della polizia, gli abusi sessuali e le incarcerazioni contro le donne e i bambini curdi. L’Unione Europea finge di non vedere, fintantoché il regime di Erdogan tiene i richiedenti asilo fuori dai confini europei. Da est a ovest, da nord a sud, i governi stanno sfruttando la pandemia per rimettere le donne in quelle posizioni sociali che esse stanno contestando: nelle case, a prendersi cura gratuitamente della famiglia, oppure sfruttate e sovraccaricate di lavoro nei settori essenziali.

Il Primo luglio vogliamo gridare che la lotta delle persone LGBTQI+ per la libertà sessuale e contro la loro criminalizzazione, e quella contro la violenza patriarcale sulle donne, costituiscono una lotta transnazionale comune per la sovversione della riproduzione neoliberale e razzista della società patriarcale.”

 

RIVOLTA PRIDE 3 LUGLIO

Il 3 Luglio sarà un Pride di Rivolta, contro la violenza sistemica e la reazione catto-femonazionalista che sta rallentando il dibattito sui diritti sociali, civili ed economici della comunità LGBTQIA+ e di tutte le altre realtà marginalizzate soggette a discriminazione.

Ci siamo unitə in un periodo cruciale. Quest’anno abbiamo assistito ad una recrudescenza della violenza nei confronti della nostra comunità, il che richiede una presa di parola ancora più forte.

Vogliamo:

– Molto più del ddl Zan!

– Educazione al genere, alla sessualità e all’affettività in tutte le scuole: basta con lo spauracchio dell’ideologia gender. Vogliamo la possibilità di accedere alla carriera alias in tutti i percorsi formativi.

– Chiediamo che l’universalità nell’accesso alla salute sia accompagnata dall’universalità nella fruizione per persone Sieropositive, per le persone disabili, per le donne, per le persone trans e per le lesbiche. Vogliamo un superamento della legge 164/1982 sulla base del principio di autodeterminazione e del modello del consenso informato, non tolleriamo più la psichiatrizzazione e patologizzazione delle nostre identità, come persone trans rifiutiamo la diagnosi di una patologia inesistente e il passaggio di validazione delle nostre vite in un tribunale.

Chiediamo l’accesso alla PreP su tutto il territorio nazionale e la completa gratuità. Rifiutiamo l’abbandono della prevenzione e cura dell’HIV e delle Malattie Sessualmente Trasmissibili, gli ostacoli all’accesso all’aborto e alla genitorialità queer, l’eterosessualità come unico orizzonte narrativo quando abbiamo bisogno di ginecologə, andrologə o qualsiasi specialista; abbandoniamo la relazione gerarchica medico-paziente per promuovere sapere diffuso sulla nostra salute: sono decenni che accumuliamo competenze tra le lacune della medicina ufficiale.

– Reddito di autodeterminazione: l’emancipazione economica è fondamentale per tuttə, soprattutto per le soggettività più marginalizzate in questa società patriarcale. Non è possibile fuoriuscire da situazioni di violenza se si è tenutə in condizioni di povertà.

– Centri antiviolenza gestiti dalla comunità di riferimento delle persone che subiscono violenza, percorsi di fuoriuscita anche per minori discriminati per la loro identità di genere o per la loro sessualità.

– Permessi di soggiorno slegati dal lavoro e dalla famiglia, reali e diffusi, servizi per persone LGBTQIA+ rifugiatə e accesso alla cittadinanza.

– Vogliamo contrastare ogni forma di Pinkwashing insieme alla comunità LGBTQIA+ Palestinese!

– Auto-rappresentarci: vogliamo spazio e ascolto. Siamo stanchə di sentirci parlare addosso e di vedere le nostre voci sovrastate da persone eterocisgender! Lottiamo per costruire ambienti liberi dalla cultura dello stupro, dal machismo, dall’abilismo, dal razzismo, dall’odio per le persone lgbtqia+. Ora più che mai abbiamo bisogno di nuovi spazi transfemministi in città in cui praticare accoglienza, scambio e mutualismo.

Ci vogliamo vivə, ci vogliamo liberə e autodeterminatə e vogliamo gridarlo tuttə insieme con un Pride politico e radicale!

 

Elenco realtà in ordine alfabetico:

Agedo Bologna

Aps Gruppo Trans

B-side pride

Cassero lgbti+ center

Collettiva Mastutake

Comitato Bologna pride

Elastico fa/ART

Famiglie Arcobaleno Emilia Romagna

Frame Bologna

Il barattolo

Il grande colibrì

Komos coro gay di Bologna

La Mala Educación

Laboratorio Smascheramenti

Lesbiche Bologna

Mit

Mujeres Libres

Non una di meno Bologna

Ombre Rosse

Plus Bologna

Red Bologna

Uaar Bologna

Unilgbt

Appello da Queer Palestinesi: No al Pinkwashing dei crimini Israeliani!

Queer Palestinesi esortiamo lə Queer Globali a sostenerci!

Chiamata alla solidarietà

No al Pinkwashing dei crimini Israeliani!

Palestinian Queers Call on Global Queers to Stand With Us
Appello di ASWAT

Mentre le persone queer e LGBTQIA+ nel mondo celebrano la Giornata Internazionale contro l’Omofobia e la Transfobia (IDAHOT) e le parate Pride, noi queer palestinesi stiamo vivendo uno stato d’orrore. Le forze militari di polizia dell’Apartheid israeliano ci stanno attaccando con lacrimogeni e granate assordanti, stanno dando la caccia e arrestando le/i nostrə attivistə mentre marciamo protestando pacificamente. Contro che cosa protestiamo? Contro i massacri a Gaza ad opera di Israele; contro le sue atrocità, i suoi espropri e pulizia etnica a Gerusalemme; nella Valle del Giordano, a Galilee, Naqab (Negev) e nella West Bank; e contro il suo supporto agli attacchi razzisti dell’estrema destra alle Comunità Indigene Palestinesi ovunque, che siano queer o etero.

Le testimonianze de* Palestinesi queer che vivono all’interno dell’attuale Israele raccontano con precisione con quanta brutalità le forze di polizia israeliane pesantemente militarizzate reprimono le manifestazioni in solidarietà a Sheikh Jarrah, un quartiere palestinese occupato a Gerusalemme Est, dove 4 famiglie sono costrette a lasciare le proprie case per lasciare spazio alla colonizzazione dei coloni Ebrei-Israeliani.

Ghadir al Shafie, co-fondatrice di Aswat, riporta così la testimonianza di suo figlio che ha partecipato a una manifestazione pacifica nella loro città natale Akka: “Alcuni giorni fa, mentre stavo tornando a casa da una manifestazione vicino a Yaffa, mio ​​figlio Jude, che ha 17 anni, mi ha chiamata. Gridava, potevo quasi sentire il suo cuore battere forte: “Mamma, la polizia ci insegue con lacrimogeni e granate assordanti; sono brutali. Si stanno avvicinando a noi”. Ero in uno stato di shock totale, spaventata per la vita di mio figlio.

Altre testimonianze di attivistə queer che hanno partecipato a marce pacifiche rivelano una brutalità e una repressione della polizia senza precedenti contro i palestinesi. “Ci stavamo organizzando per iniziare la manifestazione ad Haifa quando abbiamo sentito granate assordanti seguite da un’intensa ondata di lacrimogeni. Ricordo di aver guardato il cielo ed era tutto pieno di nuvole di fumo. Abbiamo iniziato a correre verso alleatə vicinə per poi venire attaccatə da folle armate ebreo-israeliane di estrema destra che cantavano “Morte agli arabi”. È stato orribile! “

Sorelle e fratelli, oggi lottiamo per i diritti queer come parte dei nostri diritti politici, sociali e umani. La nostra lotta per i diritti queer è anche intersezionalmente connessa alle lotte mondiali per i diritti delle persone Indigene, i diritti delle donne, le vite delle persone di colore, le vite delle persone nere e per i diritti climatici. Chiediamo ai gruppi e allu attivistə queer e LGBTQIA + di sostenere le/i palestinesi, boicottando, come minimo, gli eventi del pinkwashing israeliano, come il Tel Aviv Pride, il Tel Aviv Film Festival o qualsiasi attività simile.

Come nella lotta contro l’apartheid in Sudafrica, chiediamo la vostra solidarietà, e la forma più efficace di solidarietà con la nostra lotta di liberazione è rifiutarsi di nascondere, Pinkwash o normalizzare i nostri oppressori e le istituzioni e attività che sono parte integrante del loro sistema di occupazione, colonizzazione e apartheid.

Il coraggio che il mondo intero sta riconoscendo alle/ai palestinesi di tutta la Palestina storica, ispira una coraggiosa solidarietà in tutto il mondo. Le/i palestinesi, compresə le/i queer, hanno bisogno della tua significativa solidarietà per aiutarci a porre fine ai 73 anni di brutale oppressione di Israele.

RISORSE UTILI:

ASWAT Call for Solidarity Testo Originale

Qui il sito di ASWAT Palestine (Centro Femminista Palestinese per le Libertà Sessuali e di Genere)

Pagina facebook di ASWAT

Beyond Propaganda: Pinkwashing as Colonial Violence da alQaws

Iniziative passate a Bologna contro il PinkWashing a cura del Laboratorio Smaschieramenti

#Moltopiùdizan a Bologna 10 e 16 Maggio 2021

 
Sentiamo il bisogno di incontrarci per costruire quel #moltodipiù che vogliamo dalla Legge Zan. Il 15 maggio saremo a Roma Ci vediamo in Piazza Per la Legge Zan e molto di più
e il 16 maggio a Bologna per ribadire non solo che questa legge va approvata, ma che non accetteremo giochi a ribasso e strumentali sui nostri corpi froci, lesbici, trans, bi, A, queer+, sierocoinvolt* e razzializzat*. 
Senza fare un passo indietro, andiamo avanti nel nostro percorso di confronto e posizionamento sulla Legge Zan, in vista di una sua approvazione e #moltopiù in là di questa. Rilanciamo, quindi, due appuntamenti:
    oggi lunedì 10 maggio ore 18.30 negli spazi esterni del Cassero (la modalità mista sarà garantita, scrivici per ricevere il link meet), assemblea per discutere di cosa significa per noi quel #moltodipiù che esigiamo quando parliamo di Legge Zan;
    – domenica 16 maggio ore 15.30, ci vediamo in piazza a sostegno e in continuità con la piazza di Roma del giorno prima, per ribadire che pretendiamo #Zanemoltodipiù.
Affermiano il bisogno di autodeterminare le nostre vite, di esprimere liberamente le nostre identità non conformi attraverso e ben oltre le istituzioni, i loro discorsi (etero)normativi e i loro dispositivi legali e criminalizzanti.
Una legge non ci basta: non chiediamo protezione dalla violenza della destra omotransfobica e cattofascista a costo di ulteriore disciplinamento e sfruttamento, ma vogliamo costruire spazi di autonomia e orgoglio transfemministaqueer, in cui essere davvero protagoniste di un cambiamento radicale. 
Contrasteremo con i nostri corpi i discorsi d’odio di cui siamo bersaglio in questi mesi da parte delle forze conservatrici. Ci riprenderemo il microfono perché nessun* può appropriarsi delle nostre battaglie.
La rete cittadina LGBTQIA+

Scuola e prospettiva transfemminista

Il 7 e 8 novembre la rete nazioanale tfq, nata nel contesto di Marciona2020 durante la prima fase pandemica, ha deciso di convocarsi come rete dopo l’esperienza del Coordinamento Pride tfq della scorsa estate, che ha costituito l’avvio di un percorso politico collettivo transterritoriale nazioanale attraversato da singol*, realtà organizzate, collettivi e altre reti territoriali.
Durante l’assemblea si sono tenuti diversi tavoli di discussione e tra questi un focus sulla questione Scuola, ora più che mai al centro del dibattito pubblico. Abbiamo scelto di condividere le riflessioni emerse considerata l’urgenza dell’argomento e della presa di parola transfemminista queer.

TAVOLO SCUOLA

Il tavolo scuola ha decostruito le retoriche sull’istruzione come campo “neutro” o come “servizio” identificando la sua funzione di riproduzione sociale istituzionalizzata. Abbiamo riflettuto su cosa significhi questo proprio ora nel contesto pandemico e in regime di didattica a distanza, sia dal punto di vista della “cura” che dal punto di vista delle tecnologie. Questo ci ha permesso di smascherare le iniziative “dall’alto” su genere e parità e allo stesso tempo affinare le nostre strategie per contrastare binarismo di genere, razzismo classismo nell’educazione. Sono emerse proposte operative che ci porteranno a continuare questa discussione in modo più allargato.

a) Scuola e lavoro riproduttivo: l’educazione è (anche) lavoro riproduttivo? Welfare? Lavoro di cura? Lavoro e basta? Quale è il rapporto/conflitto tra le lotte per il diritto all’istruzione e le lotte delle soggettività femminilizzate messe al lavoro dal sistema educativo?

Leggi tutto “Scuola e prospettiva transfemminista”

Il Campo Innocente a Santarcangelo 2050

Il Campo Innocente  è un blog, un assemblaggio, una collettività che “raccoglie l’azione di artist* e lavorator* dello spettacolo che pongono la questione della violenza, del sessismo e della precarietà nel mondo artistico”. A Santarcangelo Festival 2050 si  è tenuto il primo incontro in presenza e vale la pena vederlo e ascoltarlo tutto!

Qui potete leggere il primo post del progetto, uscito il 15 Luglio 2020 in occasione della riapertura del sistema arte e spettacolo:

COME STIAMO | Kit di pronta emergenza da portare con sé in caso di improvvisa ripartenza del sistema arte e spettacolo in era post-pandemica

 

QUI IL VIDEO della diretta Facebook:

VERSO UN PRIDE TRANSFEMMINISTA QUEER

 

 

Nel corso della stagione pride 2019, in molte città sono nati, nelle forme più diverse, pride transfemministi queer e critici animati tutti, come a Bologna il B-side Pride, dal comune obiettivo di ripoliticizzare la forma pride nello spirito di Stonewall, il cui cinquantesimo anniversario ricorreva proprio il 28 giugno 2019.

Nell’autunno 2019, molte delle realtà e singol* che avevano dato vita a questa onda critica si sono ritrovate nel contesto di Marciona 2020, a Milano, con lo scopo di costruire nuove relazioni a partire dalla spontanea convergenza di contenuti e di pratiche.

 
  1. IL PRIDE È RIVOLTA
  2. LA CURA È UNA LOTTA POLITICA
  3. OLTRE L’OMOTRANSFOBIA, CONTRO L’ETEROPATRIARCATO
  4. IL LAVORO SESSUALE È LAVORO
  5. UN PRIDE QUEER È UN PRIDE ANTIRAZZISTA
  6. NON ESISTONO DIRITTI CIVILI SENZA REDISTRIBUZIONE
  7. L’ISTRUZIONE È FONDAMENTALE
  8. IL PRIDE QUEER È ANTISPECISTA E AMBIENTALISTA
  9. LE TECNOLOGIE QUEER SONO AUTOGESTITE
  10. CALENDARIO PRIDE TFQ 2020

B-Side PRIDE Piazza TFQ 27G 2020

Evento FB

Il B-Side Pride invita tutt* a costruire per il 27 giugno, in piazza
Nettuno alle 13.30, una piazza del Pride favolosa, antirazzista, intersezionale, degenere, puttana, frocia, lella e trans non binaria, sierocoinvolta.

COMUNICATO STAMPA:

Dopo aver già attraversato il Pride bolognese nel 2019 e dopo una lunga serie di iniziative avviate nell’ultimo anno e durante la pandemia, B -Side Pride torna in piazza per fare del Pride una manifestazione politica per i diritti civili e sociali delle persone LGBTIA+queer: l’appuntamento è sabato 27 giugno in piazza Nettuno alle 13.30. Si suseguiranno parole, musica, suoni, performance artistiche.
La rete di singol*, associazioni, collettivi, reti, migranti, richiedenti asilo, razzializzate, native e terrone, studentesse/i/, sieropositiv, sex worker, frocie, lesbiche, trans*, intersex, non binarie e transfemministe è nata per reinventare un movimento autorganizzato di liberazione di corpi, generi e sessualità. A partire da sé e dai bisogni delle soggettività costruiamo un’analisi e una pratica per opporci alla violenza strutturale eteropatriarcale attraverso una politica orizzontale, assembleare, autonoma, desiderante e non consociativa. Durante la pandemia e nella crisi che ha generato abbiamo agito solidarietà queer e mutualismo, distribuendo cibo, farmaci, risorse, connessione internet a quant* erano senza lavoro, senza reddito o isolat*.
Ora torniamo in piazza per rivendicare: un modello di salute pubblica basato su medicina territoriale e preventiva, con il coinvolgimento dei servizi community based; centralità della salute e della riproduzione sociale, contro la produzione e il profitto; una scuola pubblica in grado di educare alle differenze, alla salute e alle libere affettività; un permesso di soggiorno europeo slegato da lavoro e famiglia e lo ius culturae; maggiori interventi specifici per rifugiat* LGBTIQ+ che ne garantiscano libertà di autodeterminazione; il superamento della legge 164 sulla transizione per una piena depatologizzazione; interventi e risorse contro la violenza di genere e dei generi (non ci interessa un aumento delle pene ma piuttosto un cambiamento culturale e sociale). Siamo contro la violenza di generi e confini, vogliamo cambiare questo mond e ci uniamo al grido transfemminista intersezionale che si alza dal nord Africa al Rojava, dall’America Latina al movimento Black Lives Matter, alla Palestina.
Sarà una piazza safer, nel rispetto della salute e della cura collettiva, attraversabile da corpi diversamente vulnerabili, come condiviso nel coordinamento transfemminista queer 2020 Marciona che organizza iniziative Pride a Milano, Bergamo, Torino, Genova,nei loghi più colpiti dalla pandemia. Segneremo con creatività lo spazio consensuale tra i corpi, per rendere safer la piazza, riappropriandoci in forma queer dei dispositivi di protezione individuale in modo da trasformarli in tecnologie di prevenzione e autocura collettiva.

DOCUMENTO E CONVOCAZIONE DI PIAZZA:

Il #27G (e dintorni) è la data che abbiamo scelto in rete con >>

MMARCIONA: VERSO UN PRIDE TRANSFEMMINISTA QUEER

La pandemia e la crisi che ha generato hanno acuito la precarietà per tuttu, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, rifugiat*, razzializzate) ci siamo ritrovat* invisibilizzate dalle retoriche e dalle politiche familiste e paternaliste con cui la crisi è stata gestita. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi nello spazio pubblico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer e di ricostruire, a partire dal #27G, uno spazio pubblico dove incontrarci e lottare insieme.

Per questo il #Pride diventa per noi più che mai l’Orgoglio per i nostri legami queer, che sono reti, sfamiglie, altre intimità, parentele spurie di affinità e resistenza, formazioni sociali che non riproducono la famiglia eterosessuale.

Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto,
della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci
connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt*, diritto a lavorare in sicurezza,
autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica. Anche per questo ci sentiamo in connessione e aderiamo alla piazza di #NonUnaDiMeno del 26 giugno ✹ Torniamo nelle strade. Ci riprendiamo tutto ✹ Bologna

Siamo in piazza contro la violenza di genere e dei generi!
La violenza è strutturale: l’eteropatriarcato è alla base della cultura
capitalistica e colonialista e garantisce l’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento che rispondono alle logiche del profitto. Il transfemminismo rompe le certezze delle relazioni su cui si basa la società patriarcale, restituendo relazioni inedite, favolose e dissidenti. Per questo crediamo che sia importante discutere della legge su omolesbotransfobia: non ci interessa l’inasprimento delle pene a costo zero, vogliamo vedere riconosciuta la natura sistemica della violenza (l’eterosessualità obbligatoria) e chiediamo interventi strutturali per sradicarla a partire da educazione e prevenzione. Inoltre, la discriminazione non è un fatto meramente culturale, produce disuguaglianza sociale e materiale, per questo chiediamo reddito di autodeterminazione e accesso a salute, casa, istruzione per ognun*: per transitare fuori dai vincoli famigliari, patriarcali e omosociali.

Siamo in piazza per la depatologizzazione delle transizioni e delle vite trans e non binarie: superiamo la legge 164!

Siamo in piazza in solidarietà con il movimento Black Lives Matter e con tutte le resistenze queer, femministe, antirazziste, antifasciste
globali, dal Rojava alla Palestina al Brasile. Qui e ora combattiamo contro il razzismo sistemico e istituzionale e in alleanza con le soggettività lgbtiqueer migranti e razzializzate: vogliamo l’abolizione delle legislazione razzista e securitaria, permesso di soggiorno europeo, decolonizzazione della cultura e della società.

Siamo sierocoivolte e da questa prospettiva guardiamo alla salute: il ruolo dei servizi di prossimità e community-based nella cura dell’hiv e la lezione post pandemia fanno emergere la necessità di un ripensamento del welfare nazionale e regionale. Che si tratti di medicina territoriale, preventiva di residenze anziani, salute mentale, carceri, strutture di accoglienza va superata la visione disciplinare che crea spazi separati in cui isolare e concentrare “l’Utente”. Chiediamo accesso alla salute pubblica, alla prevenzione, alle terapie senza discriminazioni per le persone trans, razzializzate e marginalizzate. Lottiamo contro lo stigma che ancora ci colpisce come sieropositive.

Lottiamo contro lo stigma che ancora ci colpisce come puttane. Siamo libere di sperimentare le nostre sessualità in relazioni multiple. Il sex work è un “lavoro” e prima di tutto è un lavoro di/del genere perché la relazione di cura/seduzione che si costruisce è parte del servizio che viene venduto. Il sex work è lavoro e come tale necessita di diritti e tutele: più viene invisibilizzato, maggiore è la violenza verso chi lavora. Le leggi attuali sono insufficienti perché criminalizzano la nostra attività e quindi i nostri corpi, per questo lottiamo per la totale autodeterminazione e decriminalizzazione del sex work.

Sarà una piazza “statica”, safer, nel rispetto della salute e della cura collettiva, come condiviso anche a livello di tutto il coordinamento transfemminista queer 2020 Marciona. Quindi useremo la nostra creatività per segnare lo spazio, per rendere safer la piazza, riappropriandoci in forma queer dei dispositivi di protezione individuale in modo da trasformarli in tecnologie di prevenzione e autocura collettiva.

La piazza sarà safer e attraversabile da tutt*, batterà al ritmo delle
nostre rivendicazioni e dei suoni di WoWo , RYF, Miss Schneider (Erica Jane Schneider), Favolosa Corale WannaQueer e StaMurga – Ottimista e antifascista

 

Hormony – La sua più grande volontà di godere

Eccoci a dare supporto a un progetto godereccio! Si chiama Hormony ed è un blog favoloso!

Riportiamo qui lo statement “Che roba è Hormony?” e invitiamo tuttu a contribuire!

Hormony spunta fuori un pomeriggio di febbraio. Concepita nel peccato, mai partorita, ha un sacco di madri, sorelle, amiche, compagne, ma nessun genitore. Più che nascere, si materializza. Più che farsi materia, si fa desiderio. Ma non quello delle fiabe, quello che esprimi davanti a un cielo stellato. 
Hormony ha un corpo umido, grasso, voluttuoso. Può essere invocata gemendo, ansimando o schioccando la lingua. E’ pigra. Disprezza il lavoro. Non sopporta le gerarchie. 
 
La
 
Sua
 
Più grande
 
Volontà
 
È
 
GODERE
 
Morirà, prima o poi. Ma, intanto, che gran vita cazzo. 
 
  • cosa NON è hormony? 
Non è un libretto di istruzioni. Non insegna come godere, non promuove posizioni.
Non vende nessuna verità, non dà nessuna certezza.
Puoi godere come, quando e quanto vuoi, o non farlo proprio.
 
  • a chi parla?
A chiunque non si riconosca nelle narrazioni dominanti sulla sessualità, sull’erotismo, sul desiderio.
A chi vuole eccitarsi e godere, infilandosi nei meandri dell’esplorazione del corpo tutto e dei corpi tutti.
A chi ha intenzione di scoprire e riscoprire i meravigliosi e numerosi mondi in cui perdersi oltrepassando le porte del piacere.
A chi ha bisogno di rimpire la testa di aria, avvolgere il ventre nelle fiamme, inzupparsi nei fluidi del corpo.
 
  • cosa prova a raccontare? 
Hormony racconta storielle, pensieri, a volte pettegolezzi. Parla di sesso e d’amore, di corpi e di desideri, spesso/anche? di frustrazioni. 
Mette in comune le storie vissute o immaginate liberandole dalle costrizioni, dagli imbarazzi, dalle imposizioni, dalle aspettative.
Ragiona poco col cervello e molto con la vulva, ogni tanto ci butta pure in mezzo il cuore. Di far riflettere non le interessa un granchéPreferisce stuzzicare, ammiccare, eccitare. Per farci mollare gli ormeggi, varcare i limiti, guadagnare le profondità. 
 
  • con che linguaggio?
Il giorno della nascita di Hormony ci siamo dette che non stava a noi affibbiarle un genere, decidere della sua identità sessuale, stabilire se fosse una “lei”un “lui” o un *. Lei, d’altra parte, era così piccola. E noi? Chi cazzo eravamo noi?
Quel giorno abbiamo deciso che avremmo usato un linguaggio diverso, inclusivo, non discriminante, neutro. Ma quando abbiamo iniziato a mettere su carta le nostre voglie, le nostre perversioni e i nostri desideri, ci siamo accorte che quel neutro non ci bastava, non poteva esprimere la varietà delle nostre fantasie, la moltitudine delle nostre identità. 
 
Per fortuna Paul Preciado ci è venuto in aiuto:
    
“Il punto non è privilegiare un suffisso (femminile o neutro) per promuovere un’azione di discriminazione positiva, o inventarsi un nuovo pronome che possa sfuggire al dominio maschile e che possa designare una posizione enunciativa innocente, un’origine nuova e pura della ragione, un punto zero da cui dovrebbe nascere una voce politica senza macchia. A dover essere messe in crisi sono le tecnologie di scrittura del sesso e del genere, e le loro istituzioni. Non si tratta di sostituire un termine con un altro. Non si tratta di sbarazzarci delle marche di genere o dei riferimenti all’eterosessualità, ma di modificare le posizioni enunciative” 
P. Preciado – Manifesto Contra-sessuale
 
Per questo abbiamo deciso di partire da “posizioni enunciative rovesciate”.
Vale a dire: non c’è uniformità nei linguaggi in cui sono elaborati i contenuti di tutti i filoni Hormony (diari, racconti, poesie, poRcast…) perché nessuna scelta stilistica (femminile universale, “u” neutra, asterisc*, pronome plurale “loro”, perifrasi neutralizzanti…) di per sé è in grado di smontare la costruzione delle soggettività nel sistema eterosessuale naturalizzato e restituire una presa di parola pura delle devianze, delle non conformità, delle marginalità. Piuttosto, quello che cerchiamo di decostruire, smontare e mettere in crisi sono le strutture che istituiscono quel linguaggio, partendo da posizioni di deriva, di eccedenza, di superamento, raccontando pratiche impronunciabili e scabrose oltré i tabù, descrivendo immaginari non stereotipati, o magari stereotipati ma consensuali, e sganciati dal canone eteronormato, ridisegnando le relazioni (dentro e fuori dal letto) e mettendo in discussione il processo di formazione delle nostre fantasie, dei nostri desideri, della nostra sessualità. 
 
Ecco perchè Hormony, adesso, si identifica con il pronome femminile. 
Ma se improvvisamente ci chiedesse di passare al “lui”, così come al “loro” o a nessun pronome in favore di arzigogolate costruzioni sintattiche, noi, in un battito di ciglia, faremmo esattamente ciò che vuole.

Edizioni Minoritarie

Hai la passione per l’editoria indipendente? Ti piacciono gli scarabocchi e le gif con i gattini? Vuoi regalare un librino carino carino al tuo ex compagno di classe deficiente? Bene questo articolo è adatto a te, piccolX topX da biblioteca

Edizioni Minoritarie è una casa editrice antifascista, antisessista, antirazzista, autoprodotta, trans/femminista.  Ci muoviamo tra il prosaico e l’immaginario, tra il mostruoso e il politico, tra il didattico e buttarla in caciara.

Cosa pubblichiamo: Fumetti, libelli politici, libercoli politici, libretti d’arte applicata, ristampe di libri inutili ma meritevoli, libri remixati, composti e ricomposti.

Cosa non pubblichiamo: Romanzi, soprattutto il romanzo di formazione della tua vita. Poesie, soprattutto le tue poesie sull’amore e sull’autunno.

inoltre, sulla loro pagina faccialibro troverete tante belle interviste e podcast: Edizioni Minoritarie

Punto di vista di B-Side Pride su Violenza di genere e dei generi

Partiamo dalle nostre esperienze di vita e dall’intersezione tra diverse traiettorie di oppressione per costruire un posizionamento critico rispetto al binarismo di genere obbligato e naturalizzato così come alla costruzione del genere. Dall’inizio alla fine della nostra vita veniamo socializzat@ come uomini e donne, riconducendo l’identità di genere al sesso assegnato alla nascita. Tale binarismo è dato per assunto in quanto prima cellula su cui si fondano le strutture della società eteropatriarcale: la coppia eterosessuale, la famiglia, e a seguire tutti i corpi sociali.

Il mantenimento del binarismo di genere, in regime di eterosessualità obbligatoria, è strettamente necessario alla riproduzione sociale e si trova alla base di ogni forma di violenza di genere e del genere. Questi due tipi di violenza condividono lo stesso campo discorsivo e sono strettamente legati alle modalità in cui la disparità di potere organizza la violenza strutturale. La violenza di genere si manifesta, dal momento che il genere maschile detiene il privilegio e lo esercita in forma di dominio e prevaricazione, sottomettendo – a partire dalle donne – ogni altra soggettività “subalterna”; mentre la violenza del genere si genera dalla normalizzazione e dalla naturalizzazione del comportamento eterosessuale e dell’identità di genere a partire dalle caratteristiche fisiche e riproduttive del corpo che si abita, per cui tutti i comportamenti che non riflettono la norma sociale, di conseguenza, si considerano “devianti” e sono esposti a varie forme di violenza sociale, da quella fisica all’isolamento. Dalla parzialità e pluralità del nostro vissuto ci è chiaro che la violenza è strutturale e si articola e si riproduce in tutti i luoghi che quotidianamente attraversiamo e nelle relazioni che intessiamo.
Il patriarcato è alla base della cultura capitalistica e colonialista ed è determinante poiché garantisce l’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento che rispondono alle logiche del profitto e dell’accumulazione capitalistica. Il sistema si alimenta e trae vantaggio economico dallo sfruttamento della donna e del suo lavoro riproduttivo e di cura non retribuito, del quale è resa unica responsabile e nella cui vita ha forti ripercussioni pratiche. Il capitalismo si avvantaggia, inoltre, di altre forme di subordinazione culturale basate sul genere, sulla classe e sui continui processi di razzializzazione al fine di mantenere lo status quo e l’ordine economico dedito al profitto di pochi. Il controllo della sessualità e della riproduzione diventano due strumenti determinanti nel sostentamento del sistema capitalistico, andando a ridefinire con nettezza i confini dei nostri corpi e le loro possibilità.

“Il buon padre di famiglia” e il “bravo e onesto cittadino” sono state le due figure maschili che si sono scambiate il ruolo di guida nella società fino ad adesso. La loro guida è stata silenziosa ma efficace: un personaggio caricaturale a cui assomigliare, a cui dare il volto dei protagonisti della cultura pop e dei modelli scolastici. Un uomo che non deve chiedere mai, e allo stesso tempo che ha bisogno di una donna da proteggere con cui completare la sua vita. Un uomo che non può piangere, e che deve dimostrare la sua forza ad ogni costo. Un uomo così è il prototipo su cui le nostre relazioni si sono infrante, i nostri diritti calpestati, le nostre soggettività non riconosciute, le nostre fragilità usate come debolezze. L’amante geloso, che ama così tanto da uccidere, non è tanto diverso dal capo di stato che per amore del suo paese deve combattere “con ogni mezzo necessario”, anche se questo significa guerra e il calpestio dei diritti umani.
In Italia siamo tristemente abituat@ a vivere episodi di violenza sulle donne e sulle persone queer: deteniamo inoltre il primato in Europa per omicidi di persone trans, in costante aumento rispetto agli anni precedenti. Le famiglie e gli affetti sono spesso i primi ad essere gli autori delle violenze, che durante la reclusione causata dalla pandemia di Covid abbiamo visto crescere esponenzialmente.
A partire dall’infanzia e adolescenza, in cui famiglia e scuola sono centrali per lo sviluppo della persona, ci si vede inquadrat* in un sistema di regole precise, che disciplinano i nostri corpi e le nostre vite in ogni particolare: assistiamo costantemente a episodi di bullismo omofo e a un sistema educativo che riproduce il binarismo di genere, mentre invisibilizza strutturalmente forme diverse di soggettività. L’abuso psicologico, lo stress e l’insicurezza rispetto alla realtà scolastica sono troppo spesso una realtà bruciante per le persone queer, che si vedono sprovviste di strumenti per reagire davanti a situazioni tutt’altro che adeguate al benessere psicofisico della persona. All’università ci si confronta ancora una volta con saperi eteronormativi e coloniali, che rimuovono sistematicamente donne e soggettività non conformi: dai corsi di medicina, in cui in corpi di donne, persone trans e intersex vengono letti solo in un’ottica patologizzante, a quelli di pedagogia, la cui struttura riflette fortemente l’impianto familistico indispensabile per la riproduzione sociale del sistema capitalistico. Ancora una volta le persone trans sono tra i soggetti più colpiti dalle asimmetrie che caratterizzano gli spazi universitari: basti pensare alla Carriera Alias, fornita solo in alcuni atenei nel panorama accademico italiano.
Nel nostro paese siamo ancora una volta abituat@ alla presenza fortemente ingerenze delle associazioni cattoliche e antiabortiste, soprattutto nei corsi di medicina: caso emblematico è quello del Campus Biomedico di Roma che presenta nel suo Statuto riferimenti all’aborto come “come crimini in base alla legge naturale”.
Il controllo dei corpi delle donne e delle soggettività non conformi si esprime anche attraverso la negazione del diritto alla salute. Questo è particolarmente evidente ancora una volta nel caso dell’aborto, che viene costantemente osteggiato attraverso la criminalizzazione della pratica abortiva, caratterizzata da un fortissimo stigma. L’obiezione di coscienza in alcune regioni raggiunge percentuali altissime, come il Molise dove le percentuali di ginecologi obiettori è del 96,4%, la Basilicata dove è dell’88%, la Sicilia con 83,2%, Bolzano con 85,2%: questi numeri si traducono nell’impossibilità fattuale di abortire, rendendo ancora più evidente la sottrazione continua alle donne dei propri diritti riproduttivi e non riproduttivi. In questo giocano senza dubbio un ruolo fondamentale il saldo monopolio della riproduzione nelle mani dello Stato-Nazione e l’ingerenza della Chiesa Cattolica negli ospedali e nei consultori, che collaborano per lo stesso obiettivo: il mantenimento di ogni cellula su cui si basa la società patriarcale, a partire proprio dalla famiglia e dalla procreazione al suo interno.
Questo quadro generale spiega bene anche lo scarso utilizzo della RU486, arrivata in Italia solo nel 2009 e a cui si ricorre solo nel 17,8% dei casi. La pillola, per quanto sia un metodo molto meno invasivo, viene generalmente scartata in favore dell’aborto chirurgico, con conseguente ospedalizzazione della persona e ulteriore patologizzazione della stessa. Una della battaglie più importanti di questi anni, portata avanti da Non Una di Meno insieme a collettivi come Obiezione Respinta e da reti come quella di ginecologh@, ostertich@ e professionist@ sanitarie di Pro-Choice, è stata proprio la rivendicazione per il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito, che nei tempi del COVID-19 si è rafforzata, concentrandosi sull’adozione sistematica della RU486 e sui servizi di telemedicina per la pratica abortiva, particolarmente impellenti nel momento che stiamo vivendo.
E se in questa fase ci siamo ripetut@ molto che non vogliamo tornare alla normalità perché era il problema, neanche in tema di relazioni esiste una normalità, monolitica e normativa, a cui vogliamo tornare: la società capitalista e patriarcale, infatti, prevede solo una forma di codificazione di queste ultime, ossia la coppia monogama eterosessuale basata sull’amore romantico, che viene rappresentata come unico modello possibile. Sappiamo bene che non esistono forme migliori di altre: l’unità di misura non è quante persone sono coinvolte, né la definizione che si danno o non si danno o la gerarchizzazione di quei rapporti, ma la comunicazione e la continua ricerca del consenso e del benessere di tutte le persone coinvolte. In questo, la pratica transfemminista gioca un ruolo fondamentale: come un prisma colpito dalla luce, il transfemminismo rompe le certezze delle relazioni su cui si basa la società patriarcale, restituendo per diffrazioni infinite combinazioni inedite, favolose e dissidenti.
Altro spazio di riproduzione dell’esistente determinante sono le istituzioni, di stampo reazionario e bigotto, spesso tristemente caratterizzate dall’utilizzo di politiche securitarie. Nella loro funzione normativa e repressiva sono coadiuvate dalla pervasività di un discorso politico, culturale e sociale che lascia che l’esistente si riproduca senza sconvolgimenti, mantenendo intatte le disuguaglianze e le ingiustizie: un ruolo determinante è giocato dalle realtà di estremismo cattolico, che continuano a diffondere con tutti i mezzi a diposizione retoriche reazionarie strutturate su un impianto familistico, eteropatriarcale e fortemente discriminatorio nei confronti delle soggettività non conformi, attraverso il perpetuamento della fantomatica ideologia gender
Recentissima è la dichiarazione del papa emerito Joseph Ratzinger, che attribuisce all’aborto e ai matrimoni omosessuali come colpevoli della crisi societaria contemporanea.
Tale retorica è stata il fil rouge XIII Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Families, WCF) tenutosi a Verona nel marzo 2019 dove si è riunito il movimento globale antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI nonché tre importanti ministri del governo italiano: le istituzioni neofondamentaliste e neoconservatrici risultano ancora una volta essere legate a doppio giro con le forze delle destre neofasciste.
Tuttavia nella città di Verona, una delle più salde roccaforti della destra nel nostro paese, si sono riversate migliaia di attivist*, guidate dalla forza propulsiva del movimento transfemminista di Non Una di Meno e di tantissime altre associazioni e collettivi.
I tribunali risultano come l’ennesimo spazio in cui si determina la riproduzione della società eteropatriarcale. La classificazione binaria maschio-femmina rende inattuabile per tutte le persone non-binarie la possibilità di optare, alle stesse condizioni date per le persone trans, per un genere anagrafico che contribuisca a lenire le sofferenze psichiche derivanti dall’asimmetria tra la percezione di sé quale essere sociale e la contrastante collocazione legale. Lo stato italiano non offre la possibilità alla persona non-binaria di autodeterminarsi, di conseguenza nessun documento rilasciato dallo Stato Italiano prevede l’esistenza delle persone non binarie – agender, genderqueer, fluid etc – obbligandole a dichiararsi sia ufficialmente che in contesti informali col sesso di nascita. Ad oggi il riconoscimento ufficiale, sociale e legale della persona trans in Italia avviene dopo un lungo processo di tappe fisse e prestabilite in cui la persona è obbligata a seguire un iter medico e psicologico imposto dall’alto.