Report tavolo Consenso e Covid (assemblea nazioAnale 2020)

Il 7 e 8 novembre 2020 la rete nazioanale tfq, nata nel contesto di Marciona2020 durante la prima fase pandemica, ha deciso di convocarsi come rete dopo l’esperienza del Coordinamento Pride tfq della scorsa estate, che ha costituito l’avvio di un percorso politico collettivo transterritoriale nazioanale attraversato da singol*, realtà organizzate, collettivi e altre reti territoriali.

Le questioni toccate in diversi tavoli tematici durante la giornata del sabato sono state molte, dalla scuola alla salute alle iniziative di mutualismo sperimentate dall’inizio della pandemia e che vogliamo circolino e vengano messe in rete.

Le assemblee dei tavoli sono sempre convocate nella lista generale per assicurare che tutt* sappiano della riunione e possano partecipare, oltre che per evitare che si creino tanti gruppi non coordinati che lavorano sulle stesse cose. Per le stesse ragioni, la proposta di creare un nuovo tavolo, ulteriore rispetto a quelli creati nell’ultima assemblea generale, va fatta in lista. Mescoliamoci! Conosciamoci meglio! Evitiamo che a lavorare su una certa iniziativa siano sempre le stesse persone che già si conoscono e se ne occupano da tempo: facciamo circolare i saperi nella rete!

Sottotavolo Consenso e Covid

Il sottotavolo consenso e covid é partito dalla necessità di iniziare una riflessione transfemminista ed antiabilista sul consenso e l’autonomia dei corpi a partire dalla tutela collettiva ed individuale rispetto al rischio del contagio. Le riflessioni già scaturite riguardano la necessità di estendere le pratiche ed i saperi che già riguardano il mondo del safer sex e del consenso alla dimensione più ampia che il covid ha messo in evidenza, così come di partire dalla situazione pandemica attuale per ripensare, ad esempio, le nostre modalità assembleari e la loro accessibilità, in un’ottica antiabilista

REPORT

Consenso e COVID, dispositivi di sicurezza, vulnerabilità, abilismo

Si è partite dalla necessità di iniziare una riflessione transfemminista ed antiabilista sul consenso e l’autonomia dei corpi a partire dalla tutela collettiva ed individuale rispetto al rischio del contagio. 

Le domande da cui siamo partitu erano:

  1. Che momenti di impasse, difficoltà ed imbarazzo associamo alle richieste di usare i dispositivi di sicurezza, di (magari) evitare inviti a casa di amiche&compagnu, di non condividere una birra ed una canna…? Perchè le richieste di autotutela e di limiti corporali sono ancora così difficili da affermare? [Esempio: Un gruppo si incontra. Tuttu abbassano la mascherina per salutarsi e parlare, per far girare una birra, tu no. Ti senti “debole” o “paranoica”? La abbassi anche tu? Chiedi alle altre di rialzarla? Perchè o perchè no?]
  2. Che modalità di esplicitazione del consenso potrebbero ovviare alle situazioni in cui chi è vulnerabile deve fare una sorta di “coming out” e richiedere misure di sicurezza?
  3. Come possiamo riappropriarci dei dispositivi di sicurezza e della cura collettiva, staccandola dal paradigma della repressione?
  4. Come tradurre in contesto covid pratichè già in atto nei contesti di safer sex? (Negoziazioni, esplicitazioni delle proprie pratiche ed esposizione al rischio) Promiscuità, sessualità, scopamicizia, come fare safer sex ai tempi covid? [Colpevolezza ed innocenza connesse al contagio (e stigma sociale, annunciare contatti etc)]
  5. Come tuteliamo la vulnerabilità (mentale: ansia, paure, timori & fisica: malattie autoimmuni, disabilità visibili ed invisibili, etc) senza mettere sempre come implicito che una persona sia forte ed in salute, fino a prova contraria? Fragilità e legittimità della fragilità (es: avere paura di un contagio per cause di asma è più legittimo che per cause di “ansia”?)
  6. Come decostruire i paradigmi abilisti e capitalisti che ci vogliono produttive, sempre in salute, e che ci fanno sentire meno valorose, meno sociabili, meno di compagnia, meno “leggere” quando esplicitiamo le nostre vulnerabilità?

Report assemblea:

Prima parte della discussione: cose che già sappiamo del consenso e dell’intimità ci aiutano a navigare il consenso in epoca covid

  • Mancanza di una conversazione collettiva, mancanza di organizzazione per creare safe spaces ed avere atteggiamenti di protezione verso se stesse-altre persone. Anzi, molta ostilità verso chi pone limiti e ci si vede costrettu a usare scuse del tipo “no, non ho ancora visto mia madre”, o altre strategie paradossali per far rispettare i propri limiti. Anche difficile codificare la cura verso l’altro a volte con un rispetto della lontananza, soprattutto in ambienti come i nostri in cui siamo abituatu a costruire reti ed offrire supporti (ma in un momento come questo cura può voler anche dire rispettare le distanze che tu mi imponi).
  • Confidenza, intimità e percezione del rischio che si abbassa: l’assunto è che se c’è confidenza si tende ad abbassare le difese (come nel caso del sesso e uso preservativo). Ma fa parte dello stare vicini: accollarsi una parte in più di rischio. Perchè le relazioni mettono in discussione l’equilibrio che tu hai stando da sola, sono minacciose in qualche modo.
  • Categorizzazione rapida delle persone come più o meno contagiose durante il momento dell’incontro o del saluto: Durante il saluto manca il tempo della negoziazione e del consenso quando ci si saluta, situazione che crea imbarazzo. A volte un rifiuto della vicinanza durante il saluto può essere sentito come un rigetto, accade una sorta di scansione e categorizzazione della persone come più o meno a rischio, più o meno infetta, anche secondo criteri assurdi tipo provenienza regionale. Ma volte nel momento del saluto la volontà di proteggere viene percepita come volontà di volersi proteggere. Ci si sente rifiutati ma non viene introiettato il fatto che non è che io mi voglio proteggere ma io voglio proteggere te…
  • …Questo è legato a un fattore di vulnerabilità che è un prodotto politico e che passa dai nostri corpi. La gerarchia delle vulnerabilità è basata su privilegio che spesso non è consapevole e quindi questa vulnerabilità non entra nella discussione esplicita della consensualità. Tutto questo va a rinforzare discriminazione sociale, anche su linee di…
  • …Discrimine di classe ed etnia e privilegio, ovvero a volte questa categorizzazione di chi può essere più “contagioso” o meno ha anche a che fare col privilegio, ovvero: chi lavora in sicurezza in ufficio o in smart working è naturalmente sia meno espostu al rischio che percepitu come meno contagiosu. Esposizione al virus è mediata dalla classe, cosa che può generare conflitti ed incomprensioni politiche. Percezioni molto diverse tra chi era costretta ad andare fuori e chi doveva stare a casa.
  • Parallelismo MTS e covid a livello sia di contagio che negoziazione del consenso, come ad esempio avviene già in relazioni non monogame (esempio poly: in relazioni “a catena” vedere amici a rischio implica tutt i partecipanti al polycule, ma forse l’ultima persona meno connessa non si sente veramente a proprio agio a dare il consenso liberamente. Dilemma di decidere un livello di rischio che va ad avere un impatto su tutte le persone coinvolte.)
  • Parallelismo HIV e covid anche come tipo di attivismo, ovvero: possibili lotte per accesso alla salute… non solo io tutelo me stessu e mi isolo, ma lotte collettive perchè tuttu possano lavorare in sicurezza ed avere condizioni safer. Ci sono dimensioni collettive da sollevare per rivendicare accesso alla salute per tutte. E anche riuscire a ragionare in termini di quali pratiche condividiamo.

La responsabilità del contagio non è solo del singolo o della collettività ma di chi ha mal gestito le risorse economiche pubbliche devalorizzando il sistema sanitario. Fare attivismo ora significa combattere per accesso alla salute pubblica e gratuita, tenendo conto delle specifiche fasce di vulnerabilità.

  • Approccio “safer” di riduzione del rischio, ripreso dal safer sex ma non solo. Ridurre il rischio vuol dire per forze agire una serie di inclusioni ed esclusioni che non tengono solo conto della salute come contagio covid ma anche di salute mentale, affettività etc. La salute non è solo rispetto al covid ma ha varie sfere. Pubblicamente si è parlato troppo poco di come poter (o no) avere dei rapporti sessoaffettivi diversi da quello che possono avere due persone che abitano nella stessa casa. Viviamo dei bisogni e delle situazioni di contraddizione: da un parte potenziale liberatorio (anche politico) del sesso, dall’altra il fatto che non tutti questi bisogni non possono essere soddisfatti (anche per il bene di altre persone con cui siamo in intimità).
  • Promiscuità ed “altre intimità”: condividiamo pratiche sociali e sessuali che spesso travalicano norme di sicurezza comuni. es: interi gruppi di amicizie con cui pomiciamo senza pensarci troppo… cosa abbastanza fondante come cosa che definisce il mio tipo di socialità con le persone con cui passo il tempo e faccio politica. Relazioni miste tra sesso ed affetto, non abbiamo parole per descrivere le relazioni che intratteniamo. Non siamo congiunti, noi viviamo un altro tipo di relazione, che è quello che ci fa stare bene dal punto di vista della salute mentale. Idea del mutualismo e di supportarci come rete di realzioni. A un certo punto nonostante il rischio di un contagio c’è una necessità dal punto di vista della salute mentale di aprirsi, non si può non avere relazioni.
  • Stigma associato a prendere il virus nel modo “sbagliato”. Dato che non è ancora chiaro in quali situazioni sia veramente il rischio di contagio più alto che in altre non abbiamo la vera misura del rischio che corriamo. Se io prendo il virus scopando con uno o due persone mi sento più in colpa perchè lo faccio facendo un’attività “sbagliatissima” su molti livelli sociali, perchè è un’attività stigmatizzata la cui necessità non viene mai associata alla salute mentale.

Seconda parte della discussione: nuove sfide che riguardano il consenso in epoca covid possono aiutarci a ripensare il consenso in generale, es: necessità di decostruire assunti abilisti nelle nostre assemblee.

  • Di chi è la responsabilità di fare “coming out” come persona vulnerabile rispetto al rischio contagio (per motivi di salute fisica o mentale), ad esempio quando una persona nuova entra in un’assemblea? Che pratiche? Parallelismo con abilismo e persone non neurotipiche con altre esigenze.

Modalità 1: incoraggiare assertività. Arriva una persona nuova, si fa accoglienza, oltre alle presentazioni. La società tende ad essere abilista e colpevolizzante verso chiunque ha una condizione patologizzata, quindi ci sta fare un passaggio in cui si invita ad essere assertivi (per quanto chiaramente non ci si potrà mai sostituire alla volontà del singolo di esporsi). Bisogna decostruire abilismo per cui si svaluta chi non è prestante in qualche modo (salutte, droga o alcol, sessualità). Anche in questo contesto Covid bisognerebbe resettare tutto e incoraggiare assertività e far passare il concetto che avere un disagio o una sensibilità di un certo tipo non è una sfiga nè una cosa per cui ti devi sentire inferiore agli altri. A volte ci si dimentica di creare lo spazio concreto per questa accoglienza.

Modalità 2: Cambiare le modalità assembleari, renderne esplicita la malleabilità. Per tutelare tuttx sarebbe da partire da zero e rinegoziare sempre i paramentri per capire come muoversi e come comportarsi. Effettivamente possiamo chiedere i pronomi o una safe word, ma forse dobbiamo ragionare al contrario, trovando un modo dell’assemblea di chiarire se stessa, e di chiarirei che alcuni atteggiamenti che l’assemblea ha sono modificabili e malleabili, creare protocollo assembleare morbido ed agnostico rispetto alle persone che entrano: comunicare che all’interno dell’asse c’è questo tentativo in corso di automonitorarsi constatandone comunque i limiti.

Mediazione di pratiche che vengono dal mondo bdsm: limiti e safeword come metodi espliciti di comunicare consenso. Ma hanno i loro limiti, per cui quando io vedo che la mia partner mi esprime anche non verbalmente qualunque cosa che mi fa pensare possa esserci un problema io faccio un check in, non aspetto la safeword per interrompere. In modo simile, in un’assemblea le persone possono tenersi d’occhio, ci deve essere attenzione in comportamenti e reazioni delle altre persone, un ambiente che faciliti sia comunicazione diretta che l’essere comunque in grado cmq di cogliere dei segnali. Avere sempre in mente che i nostri limiti e quello che consideriamo rischio accettabile può cambiare, anche nell’arco di poco tempo. Il problema è che l’espressione di disagio e del limite non sono uguali per tuttu, soprattutto nel caso di persone neurodivergenti. Se non c’è educazione sul modo in cui, per questi gruppi di persone, il disagio viene espresso, è molto facile ignorarlo.

Punti extra dalla plenaria:

Necessità di linee guida per acccessibilità assemblee e di indagare le criticità specifiche delle modalità offline-online-miste sulla linea dell’abilismo. Online può essere escludente (per accesso a mezzi tecnologici, ansia, ambiete domestico non safe da dove non si può parlare liberamente) ma anche più accessibile (possibilità di invitare interprete LIS anche se non presente nelle propria zona o città, ad esempio, o accessibile per chi in provincia).

https://prepster.info/covid-and-sex/

esiste prep in italia che segue l’esempio di prepster. sta facendo un sostengo online per chi vorrebbe prendere la prep in questo periodo.

© Shonagh Rae

SPIAZZAT* come stiamo nello spazio? 27 marzo Parco della Zucca

????BSide Pride invita a partecipare a un evento all’aperto per ri-discutere di ????????????????????????????????, ???????? ???????????????????? ???????? ???????????????????????? ???????????????????????????????????????? ???????????????????? ???????????????????????? ???????????????????????????????? ???????? ???????????????????? ???????????????????? ????????????????????????????????.
Sentiamo la necessità di ripartire da qui, per ???????????????????????????????????????????? ????????????????????????????????̀ ???????????????????? ???????? ???????????????????? ???????????????????????????? ???? ???????????? ????’????????????????????????????????????????????????????????????????????.
✊Ci sarebbero molte questioni prioritarie in questo momento: ????????????????????????????????????????, ????????????????????????, ???????????????????? ???????????????? ???????????????????????????????? ???????? ???? ???????????? ???????????????????????? ???? ????????????????????????????????????̀ ???????? ????????????????????.
????Proponiamo di riprendere le fila, un passo per volta, a partire ???????????????????? ???????????????????????????????? ???????????? ???????????????????????????????? ???????????????????? ????????????????????????????????????̀ ????????????’???????????????????? ????????????????????, ???????????????????? ???????????????????????????????? ???????? ???????????????????? ???????????????????? ???????????? ????????????????????????????????????????, ???????????????????? ???????????????????????????????? ???????? ???????????????????????????????????????????? ???????????? ???????????????????????????? ???????????????????????????????????? ???????????????? ???????????????????????????? ???????????????????????????????????????????????????? ???? ????????????????????????.
Parliamo insieme a partire dai limiti oggettivi e soggettivi, dalle paure e dai bisogni e desideri di lotta comune, di sapere collettivo e di salute.
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come stiamo nello spazio? Evento in presenza!

Annullato l’evento in presenza su Sciopero dai Generi – invito a produrre brevi video

L’evento in presenza è annullato: la curva dei contagi si sta drammaticamente alzando e allo stesso tempo viviamo la contradditorietà dei provvedimenti di contenimento del virus.

Mentre chiudono gli spazi di discussione e confronto restano aperte le attività produttive tutte, dai centri commerciali alle fabbriche (ma non le scuole). In tutti questi luoghi, così come dietro le mura domestiche, continuano a consumarsi la violenza di genere e dei generi. La gestione della pandemia limita la libertà personale e ci riduce a consumator*/produttor*/riproduttor*, oppure ci lascia in totale stato di abbandono e isolamento quando svolgiamo sexwork o viviamo condizioni di marginalità, nei centri di accoglienza, nelle RSA o semplicemente nelle strade che non sono per noi tuttu MAI state sicure. 

A un anno dall’inizio della pandemia rifiutiamo la definizione di questa terza ondata come un’emergenza e la proiezione  di tutto il portato della responsabilità sociale sulle/su singol* individu*. Nel contesto della pandemia qualsiasi spazio di discussione pubblica viene annullato o sgomberato. Riteniamo fondamentale continuare ad aprire spazi di confronto sulla salute intesa anche come benessere sociale, così come per la lotta alla violenza sistemica maschile, di genere e dei generi. Per questo ribadiamo l’essenzialità dello sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo, e ci prepariamo ad elaborare strategie per praticarlo anche quest’anno. 

Non possiamo rimandare la lotta all’eteropatriarcato fino alla fine della pandemia Covid. 

Stay tuned…

Avevamo in programma un rituale per abbattere il patriarcato… non possiamo farlo ma vi invitiamo a pubblicare sull’evento

Lo sciopero è essenziale… i generi no! Sciopero dai generi verso l’8M

i contenuti che avreste voluto

sentire/vedere/toccare/annusare/intuire

Il Campo Innocente a Santarcangelo 2050

Il Campo Innocente  è un blog, un assemblaggio, una collettività che “raccoglie l’azione di artist* e lavorator* dello spettacolo che pongono la questione della violenza, del sessismo e della precarietà nel mondo artistico”. A Santarcangelo Festival 2050 si  è tenuto il primo incontro in presenza e vale la pena vederlo e ascoltarlo tutto!

Qui potete leggere il primo post del progetto, uscito il 15 Luglio 2020 in occasione della riapertura del sistema arte e spettacolo:

COME STIAMO | Kit di pronta emergenza da portare con sé in caso di improvvisa ripartenza del sistema arte e spettacolo in era post-pandemica

 

QUI IL VIDEO della diretta Facebook:

Il Campo Innocente: COME STIAMO | Kit di pronta emergenza da portare con sé in caso di improvvisa ripartenza del sistema arte e spettacolo in era post-pandemica

Qui trovate un fondamentale intervento sulla riapertura dei teatri e sull’importanza di dire no. Proprio oggi, infatti, riparte il mondo dell’arte ma con grosse disparità materiali, tanto da portare tant* compagn* del settore a prendere parola (femminista e transfemminista) per dare visibilità e dignità a tuttu quellu che non potranno partecipare a questa “celebrazione”…

Ecco qui il testo di Il Campo Innocente, blog che

raccoglie l’azione di artist* e lavorator* dello spettacolo che pongono la questione della violenza, del sessismo e della precarietà nel mondo artistico.

(Qui la loro pagina FB)

COME STIAMO | Kit di pronta emergenza da portare con sé in caso di improvvisa ripartenza del sistema arte e spettacolo in era post-pandemica

 
Descrizione Immagine: al centro dell’immagine appare la parola NO scritta maiuscola in nero. Sullo sfondo diverse sfumature di azzurro, verde e lilla in tinte pastello.

Come stiamo? Bene, no.

Lunedì 15 giugno i teatri e i centri per l’arte dal vivo riaprono. A tutti i costi? A quale costo?  Ripartire, ma come? A dire la verità, non ci siamo mai veramente fermat_ nel produrre materiali artistici – a volte d’intrattenimento, a volte di approfondimento, a volte per puro piacere narcisista –, sempre in 2D. Ora che il carbone tornerà a bruciare nella locomotiva e tutto riprenderà come prima, posso immaginare che: alcun_ saranno sedut_ in prima classe, altr_ in seconda e altr_ ancora a inseguire il treno di corsa.

Se prima di 100 lavoravano in 10, ora saremo ancora meno: chi è da sol_ in scena? Chi ha formati “più snelli”? Chi è un nome? Di certo chi riuscirà ad adattare i lavori. E tutto il resto? Senza nuovi finanziamenti pubblici e senza misure di reddito, che cosa accadrà?

Allora bene, no: al lavoro a tutti i costi, al fare senza condizioni. Vorrei dire no se altr_ non hanno alcuna scelta, se tant_ non sono neanche interpellat_. Vorrei dire no ma non vorrei essere sol_. 

Il virus è corpo mescolato a corpi altri, umani e non umani – mi insegna che parlare in termini corporativi non serve a niente: il lavoro artistico non è un’eccezione, non è migliore di altri, non si merita di più. Preferirei non avere diritti e riconoscimenti che si fondano su criteri escludenti – non vogliamo albi professionali né categorie settoriali.

La pandemia ha scatenato la più visibile crisi della cura mai verificata e – d’improvviso – tutti i lavori di riproduzione sono diventati indispensabili: chi cura i corpi dell_ altr_, chi si prende cura del corpo dell’altr_, chi consegna il cibo, nelle case, in bici, nei supermercati, nei magazzini, chi insegna a scuola, chi si occupa di bambine e bambini, chi scrive, chi svolge il lavoro domestico, il lavoro invisibile, il lavoro sociale, il lavoro sessuale, il lavoro relazionale.

Il “mondo dell’arte” non è un altro mondo.

Non è un mondo a parte, stando “a parte” non capiremo nulla, non otterremo nulla. Tu che fai per vivere? Solo l’artista? Lavoro come interprete, creo progetti miei, conduco seminari e laboratori, faccio progetti nelle scuole e didattica diffusa, faccio traduzioni, scrivo, lavoro al bar, al ristorante, nei catering, faccio musica, grafica, l_ camerier_, babysitter, ricerca all’università, l_ tecnic_ luci. Faccio l’artista, anche. È tempo forse di riunire i mondi? È tempo di un’ecologia politica femminista dell’arte: l’economia di chi fa arte è un’economia composita. Invece di nasconderlo, potrebbe essere l’inizio per costruire alleanze tra ecosistemi.

Vorrei che i soldi delle residenze e delle produzioni, dei bandi e dei circuiti venissero investiti per permetterci di fare ricerca, perché questo tempo non lo conosciamo e se non lo attraversiamo e pratichiamo saremo sempre più lontan_ dal resto del mondo. Vorrei che questo tempo venisse usato per permettere a tutto il comparto tecnico di studiare e aggiornarsi sotto compenso. I ritmi della produzione artistica sono lunghi (possono voler essere lunghi), che il mercato rispetti questi tempi senza imporre i suoi. Visto che stiamo modificando i teatri, staccando sedie e compiendo costosissime disinfestazioni, perchè non usare questo tempo per mettere finalmente i teatri a norma secondo le regole di sicurezza e accessibilità per poi poter accogliere tutt_ lavorator_? 

Vorrei che la ripartenza venisse pensata non sulla prestazione dei corpi più prestanti ma su quella di chi, nel fisico o nel cuore, necessita di altri ritmi e altre cautele. Nella pandemia e nella postpandemia non siamo tutt_ espost_ e vulnerabili allo stesso modo e nella stessa misura, asimmetrie e diseguaglianze diventano anzi più forti: donne, persone trans, non binarie, non bianche, razzializzate, disabili, malate non sono espost_ allo stesso modo di altri soggetti. 

Vorrei anche che non si pensasse solo al pubblico atletico ma anche a quello che, ad oggi, non può uscire di casa e non potrà nemmeno dopo il 15 giugno. Per chi facciamo spettacolo? Vogliamo veramente che solo persone privilegiate possano fruire delle nostre opere? 

E a proposito di privilegi, non posso ignorare la mancanza di accesso, inclusione e relazione con lavoratori/trici dello spettacolo ner_ e razzializzat_ nel teatro, nella danza e nelle arti dal vivo in Italia. L’arte non è un campo innocente nemmeno in termini di razzismo e di privilegio bianco. Di questo continuerò a parlare.

Sempre, ma da ora in poi a maggior ragione, preferirei che non venisse data per scontata la mia disponibilità, il mio tempo, le mie economie, il mio posizionamento etico-politico, le mie condizioni di salute, senza preoccuparsi di chiedere prima. Preferirei non essere coinvolt_ in progetti con il sottile ricatto di un’emergenza (ti prego non so come fare, scusami è successo all’improvviso, se dici no mi lasci nella merda) senza lasciarmi spazio di libera scelta. Preferirei non compilare una domanda di partecipazione a un bando “compatibile con il contesto dettato dalle condizioni di emergenza Covid-19”, che tanto qualcosa ci inventiamo e quell’idea che avevamo magari un’altra volta. 

Preferirei quest’anno fare solo ricerca e prove. I teatri, i festival, gli spazi di ricerca, di produzione e di residenza, le istituzioni culturali di prossimità – formali e informali – potranno farsi carico di tutto questo? Potranno farsi carico di tutte e di ciascun_? Potranno farsi carico di tutta la filiera, di tutte le disuguaglianze, degli spettacoli interrotti, di quelli saltati, di quelli mai provati ma programmati, delle maternità non tutelate in post-pandemia, dei nostri affitti non pagati, dell’incertezza del futuro, dei corpi più fragili e più esposti, dei soggetti più vulnerabili e marginalizzati, delle compagnie più periferiche? 

Servono misure di reddito, serve aprire, spostare e allargare per tutt_ e per ciascun_ i confini di un welfare troppo stretto. Servono pratiche di mutualismo perché la precarietà, l’intermittenza e il ricatto saranno sempre più violenti ed escludenti nella crisi post-pandemica. Vogliamo arte e cultura pubbliche. Vogliamo il diritto al reddito per tutto il lavoro non pagato che stiamo già svolgendo, che abbiamo sempre fatto: non siamo in debito, non lo siamo mai stat_. 

E quindi ripartire a tutti i costi e fare finta che non sia successo niente? 

Bene, no. Preferirei di no

Non saremo “congiunti” ma unite nella lotta

B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.

Non saremo “congiunti”, ma unite nella lotta! Comunicato sulla “fase 2” dell’emergenza COVID-19

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B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

????L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (del 26 aprile 2020) è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

????Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

????Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

????Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

????State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.

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Aggiornamento: Il 3 maggio 2020 sono state pubblicate sul sito del governo le FAQ che chiariscono che i “congiunti” cui si può fare visita sono “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)“.

Per noi, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo non sono necessariamente le coppie di fidanzati/e, ma putroppo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio alla stampa indicano proprio questa interpretazione. E’ facile immaginare che interpretazione ne daranno le forze dell’ordine. Non sappiamo che interpretazione ne darebbe un giudice in caso di constestazione della multa, ma sappiamo che questo non è uno strumento accessibile per tutti, nè agevole.

Qualsiasi cosa decidiate di fare per stare in contatto con le persone a voi care, vi invitiamo a valutare tutti gli strumenti possibili per minimizzare i rischi di contagio per voi stess*, per loro e per tuttu senza rinunciare a vivere e coltivare i vostri affetti (mascherine, distanza, igiene, magari andarci in bici e non in autobus ecc.), non in nome dell’obbedienza a un decreto ma prima di tutto in nome della salute come bene comune.

Cose che devi sapere sull’uso delle mascherine (fai-da-te e non)

Vogliamo che il gesto di portare la mascherina in pubblico sia un simbolo di cura e di responsabilità collettiva assunta dal basso di fronte a un’emergenza che si può affrontare e superare solo insieme, e non un simbolo di allarme e paura, o un’imposizione che arriva dall’alto senza un perchè. Per questo abbiamo pubblicato questo post, e per questo abbiamo pubblicato un tutorial su come fare una mascherina in casa (anche senza macchina da cucire!).

Questo post contiene:

– AVVERTENZE VALIDE SIA PER LE MASCHERINE CHIRURGICHE CHE PER LE MASCHERINE DI STOFFA

– LE COSE CHE DEVI SAPERE A PROPOSITO DELLA TUA FAVOLOSA MASCHERINA DI STOFFA

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