Sciopero dai generi: per un 8M transfemminista queer

Sciopero dai generi: per un 8M transfemminista queer

Il Documento della Rete NazioAnale TFQ

(mail: contactfq@inventati.org)

Da anni i movimenti transfemministi hanno portato alla luce la questione dello Sciopero dai generi. Questa formulazione ci sembra efficace poiché affronta diversi livelli di sfruttamento/esclusione/marginalizzazione.

Perché?

Perché vogliamo combattere contro l’imposizione binaristica dei generi, maschile e femminile, con tutti i ruoli annessi, asimmetrici e discriminatori. Vogliamo essere liber* di autodeterminare la nostra identità di genere, la nostra sessualità, i nostri corpi e desideri senza imposizioni, strutture o violenza medica e psichiatrica!

Con le nostre stesse esperienze di vita scardiniamo questo binario “M o F”, ci rifiutiamo di percorrerlo e contribuiamo alla liberazione di tuttu dalle imposizioni e dalle condizioni di minorità a cui tuttu siamo sottopost*, in modi diversi e intersezionali. La nostra lotta è contro l’eterocispatriarcato, è ribaltamento dalla norma cisgender che questo sistema continua ad imporre in una perpetua pratica di riproduzione del capitalismo e dello sfruttamento sulla linea del genere e della razzializzazione.

Dal punto di vista del lavoro riproduttivo e produttivo anche noi partecipiamo al fenomeno della femminilizzazione: sul lavoro (precario/sfruttato/malamente salariato) viviamo la sussunzione e strumentalizzazione capitalista dell’identità queer. Vediamo come sempre di più una serie di caratteristiche e stereotipi che ci riguardano vengano messe al lavoro. Le grandi multinazionali si vantano delle iniziative di inclusività e “diversity management”, utilizzando l’immagine dell'”apertura alle persone LGBTQIA+” per aumentare i propri guadagni, guadagni che poi non sono redistribuiti attraverso il reddito. Lanciano poi campagne di sensibilizzazione che spesso ci restituiscono immagini altrettanto stereotipate di noi stessu, cioè ci riducono all’immagine simbolo della “coppia gay unita civilmente” che lavora e alla “normalità”, decretando l’ennesima mistificazione ed esclusione delle persone trans, delle lesbiche e delle frocie. Tutto questo è aggravato dalla corsa ad ostacoli per ottenere i “pezzi di carta” indispensabili per accedere a lavoro e servizi: permessi di soggiorno, status di rifugiatu, una carta di identità con il nome e il “sesso” che scegliamo, una tessera sanitaria o un certificato di licenza media/elementare/diploma/laurea.

Svolgiamo inoltre lavoro riproduttivo gratuito quando siamo costrettu al sorriso, al trucco e parrucco, quando subiamo molestie o micro-violenze, quando finiamo per diventare le/i/* confidenti delle/dei colleghi eterocis che ci considerano figure “neutre” nei luoghi di lavoro, quando siamo fortunat*! Quando il lavoro di cura ce lo facciamo pagare come sexworker, veniamo criminalizzat* e stigmatizzat*, noi diciamo basta: #strikefordecrim! – il lavoro sessuale è lavoro, scioperare per decriminalizzare!

Come soggettività femminilizzate siamo impegnat* a decostruire gli stereotipi che riguardano la “cura”. Questo livello è fondamentale proprio oggi, durante l’emergenza pandemica. Perciò lo sciopero dai generi significa anche scioperare, da un lato, dalla visione proposta dalle istituzioni di gestione della cura nel contesto pandemico come verticale, paternalistica e, dall’altro lato, dalla “cura” naturalizzata come “caratteristica femminile”, quindi ancora in modo stereotipato, come accudimento remissivo, per affermare che cura è anche conflitto! Riteniamo fondamentale quindi dare valore alle nostre analisi e pratiche di prevenzione e autogestione della salute che recuperiamo dalle consultorie e dall’attivismo impegnato nella lotta all’HIV/AIDS.

La nostra lotta contro il binarismo del genere riguarda anche l’idea di scuola. Non riconoscere la dimensione della riproduzione sociale tra le funzioni della scuola, concentrandosi sulle funzioni di “servizio”, non permette di comprendere come l’alternativa alla scuola resti esclusivamente la famiglia, una delle istituzioni che da sempre riconosciamo come sede della violenza di e del genere. La visione della scuola come mero welfare è pericolosa perché finisce per considerare la scuola come erogatrice di un “servizio” e le “famiglie” e studenti come “utenti”. Una visione del genere è molto vicina a quella dei comitati NOGENDER, che ritengono sia diritto dei genitori influire sull’offerta didattica, in particolare per ostacolare e sabotare qualsiasi progetto di educazione alla sessualità, affettività, e genere. Allo stesso tempo la visione della scuola come didattica pura dimentica la dimensione del lavoro riproduttivo o di cura (lavoro affettivo, relazionale) pagato che in essa si svolge, come se questo avesse meno dignità del lavoro didattico-educativo. È questa visione che porta ad illudersi che anche la DAD sia scuola, mentre non è altro che una nuova incarnazione delle multinazionali, che trasformano l’educazione in mera informazione. Il nostro sciopero dai generi coinvolge la dimensione scolastica perché vogliamo negare la riproduzione sociale istituzionale dell’etoronorma sulla base del genere, della classe, dell’abilità, della razzializzazione.

Abbiamo bisogno e desiderio di socialità frocia, a fronte del confinamento in case troppo spesso luoghi di violenza misogina e omolesbobitransfobica. Lo sciopero dai generi è quotidiano e per organizzarci vogliamo spazi: consultorie, case rifugio, centri culturali, luoghi dove dare vita a forme di mutualismo, parentele altre e una socialità lontana dalle logiche di mercato e dalle forme di controllo. Invece i nostri spazi continuano a chiudere, a causa della crisi e ancora di più a causa della repressione, spacciate per austerità e senso del decoro, che molt* compagn* stanno pagando a caro prezzo. Per questo invitiamo a partecipare ai crowdfunding organizzati per sostenere le spese legali degli spazi transfemministi e femministi, luoghi essenziali per il contrasto alla violenza sistemica.

Lo sciopero è essenziale mentre il genere come dispositivo di controllo sociale, economico, politico e culturale… NO! Ci uniamo all’8 Marzo transfrontaliero con la forza della dissidenza sessuale, perché la rivoluzione sarà transfemminista o non sarà!

Transfemministe queer verso l’8 marzo

Come prendiamo parola noi soggettività LGBTQIA+ nel contesto dello sciopero dell’8 marzo? Cos’è lo sciopero dai generi nel contesto della pandemia attuale e della necessità di un ripensamento della salute e della cura? Quali discorsi e quali pratiche stiamo attuando nei contesti delle realtà locali di cui facciamo parte? Mettiamoli in comune e confrontiamoci sullo sciopero come pratica transfemminista.

Ci incontriamo
MERCOLEDÌ 3 MARZO alle 19:00
online sul canale jitsi https://vc.autistici.org/ReteNazioAnaleTFQ

L’incontro sarà un’occasione di confronto sull’8marzo ma anche di discussione sullo stato della rete transfemminista queer e dei tavoli di lavoro avviati nel contesto dell’assemblea del 7 novembre scorso.

Annullato l’evento in presenza su Sciopero dai Generi – invito a produrre brevi video

L’evento in presenza è annullato: la curva dei contagi si sta drammaticamente alzando e allo stesso tempo viviamo la contradditorietà dei provvedimenti di contenimento del virus.

Mentre chiudono gli spazi di discussione e confronto restano aperte le attività produttive tutte, dai centri commerciali alle fabbriche (ma non le scuole). In tutti questi luoghi, così come dietro le mura domestiche, continuano a consumarsi la violenza di genere e dei generi. La gestione della pandemia limita la libertà personale e ci riduce a consumator*/produttor*/riproduttor*, oppure ci lascia in totale stato di abbandono e isolamento quando svolgiamo sexwork o viviamo condizioni di marginalità, nei centri di accoglienza, nelle RSA o semplicemente nelle strade che non sono per noi tuttu MAI state sicure. 

A un anno dall’inizio della pandemia rifiutiamo la definizione di questa terza ondata come un’emergenza e la proiezione  di tutto il portato della responsabilità sociale sulle/su singol* individu*. Nel contesto della pandemia qualsiasi spazio di discussione pubblica viene annullato o sgomberato. Riteniamo fondamentale continuare ad aprire spazi di confronto sulla salute intesa anche come benessere sociale, così come per la lotta alla violenza sistemica maschile, di genere e dei generi. Per questo ribadiamo l’essenzialità dello sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo, e ci prepariamo ad elaborare strategie per praticarlo anche quest’anno. 

Non possiamo rimandare la lotta all’eteropatriarcato fino alla fine della pandemia Covid. 

Stay tuned…

Avevamo in programma un rituale per abbattere il patriarcato… non possiamo farlo ma vi invitiamo a pubblicare sull’evento

Lo sciopero è essenziale… i generi no! Sciopero dai generi verso l’8M

i contenuti che avreste voluto

sentire/vedere/toccare/annusare/intuire

Scuola e prospettiva transfemminista

Il 7 e 8 novembre la rete nazioanale tfq, nata nel contesto di Marciona2020 durante la prima fase pandemica, ha deciso di convocarsi come rete dopo l’esperienza del Coordinamento Pride tfq della scorsa estate, che ha costituito l’avvio di un percorso politico collettivo transterritoriale nazioanale attraversato da singol*, realtà organizzate, collettivi e altre reti territoriali.
Durante l’assemblea si sono tenuti diversi tavoli di discussione e tra questi un focus sulla questione Scuola, ora più che mai al centro del dibattito pubblico. Abbiamo scelto di condividere le riflessioni emerse considerata l’urgenza dell’argomento e della presa di parola transfemminista queer.

TAVOLO SCUOLA

Il tavolo scuola ha decostruito le retoriche sull’istruzione come campo “neutro” o come “servizio” identificando la sua funzione di riproduzione sociale istituzionalizzata. Abbiamo riflettuto su cosa significhi questo proprio ora nel contesto pandemico e in regime di didattica a distanza, sia dal punto di vista della “cura” che dal punto di vista delle tecnologie. Questo ci ha permesso di smascherare le iniziative “dall’alto” su genere e parità e allo stesso tempo affinare le nostre strategie per contrastare binarismo di genere, razzismo classismo nell’educazione. Sono emerse proposte operative che ci porteranno a continuare questa discussione in modo più allargato.

a) Scuola e lavoro riproduttivo: l’educazione è (anche) lavoro riproduttivo? Welfare? Lavoro di cura? Lavoro e basta? Quale è il rapporto/conflitto tra le lotte per il diritto all’istruzione e le lotte delle soggettività femminilizzate messe al lavoro dal sistema educativo?

Leggi tutto “Scuola e prospettiva transfemminista”

Prendiamo parola come persone trans migranti

Riceviamo e condividiamo questo intervento di una compagna attivista, Denise, da cui speriamo inizi una (auto)riflessione collettiva all’interno delle nostre comunità. L’intervento è stato originariamente fatto al festival Divergenti 2020, organizzato dal MIT, e può essere ascoltato qui, con audio sia in inglese che italiano

Ciao a tutte, tutti e tuttu. Sono molto onorata di essere qui, ed anche emozionata. Parlerò dei problemi delle persone trans migranti, come me. Sono una persona trans migrante e questo è un momento importante per me e per tuttu noi, perchè è importante parlare dei problemi da “dentro”, altrimenti è molto facile che nascano delle incomprensioni.
Il mio intervento sarà per punti.

1. Il primo problema riguarda il nome ed il riconoscimento legale, dei documenti. Questo è uno dei principali problemi per le persone trans migranti, stando a quello che vedo e di cui ho esperienza. Innanzitutto non siamo a nostro agio nell’usare il nostro dead-name ed il sesso sbagliato del documento. Per esempio, quando ci candidiamo per un lavoro, ci iscriviamo a scuola o ad un corso, perfino all’ospedale ci chiamano con i nostri dead-names. Ad esempio, un’amica trans e migrante è andata dal dentista e ha chiesto di essere chiamata con il suo nome scelto, ma le persone dell’ufficio hanno insistito a chiamarla con il nome sui documenti. Sappiamo che è possibile cambiare il nome sui documenti in Italia ma attraverso un processo non facile, che richiede molto tempo, e questo tempo ci fa perdere fiducia e ci mette in difficoltà. Insieme, lavorando collettivamente, possiamo cambiare qualcosa, parlarne, rendendo esplicito questo problema enorme al governo o a chi ne è responsabile.

2. Come persona trans immigrata è veramente difficile trovare lavoro in Italia, perché per un datore di lavoro sia l’essere trans che essere immigrata sono cose negative. Perfino a Bologna, nonostante si dica sia una città di mentalità “aperta”, è molto difficile trovare lavoro. Perchè ci considerano criminali: non avere sul documento il proprio sesso e il proprio nome crea nei datori di lavoro la convinzione che siamo criminali, mentre siamo solo persone che cercano di vivere la propria vita. E anche se si trova un lavoro, è molto probabile venire molestate sessualmente, o bullizzate, o subire mobbing, o licenziate. Per una persona trans migrante trovare e mantenere un lavoro è molto difficile, più difficile che per altre persone LGBTQIA+.

3. Il terzo punto riguarda le difficoltà durante la pandemia di Covid-19 e durante la quarantena. Certo, so che è un momento duro per tuttu, ma è davvero grave per le persone trans immigrate. Se già, come ho detto, è difficile per noi trovare lavoro, in questo momento è ancora più difficle sia trovare un lavoro che anche solo un posto in cui vivere. Come sapete molte persone trans migranti sono spinte a lavorare come sex-worker. Non lo dico perchè penso che il sexwork sia qualcosa di negativo, è un lavoro come un altro, ma non è la stessa cosa sceglierlo liberamente ed essere spinta a farlo quando non hai possibilità di altre scelte. In questo momento lavorare come sex worker è molto difficile, perchè è tutto chiuso, nessuno vuole rischiare ed uscire di casa. Durante la quarantena molte hanno dovuto lasciare anche questo lavoro. Molte di noi sono rimaste senza cibo, e siccome il sex-work non è considerato lavoro, non c’è nessuna assicurazione sanitaria, nessun intervento di aiuto da parte delle istituzioni. Quindi in questo momento non hanno lavoro e nessuno ne prende atto.

4. Un altro punto è la mancanza di informazioni sui diritti delle persone LGBTQIA+ migranti, diritti trans ed attivismo delle persone trans migranti. Molte di noi non hanno idea dei diritti che abbiamo, non ne sanno nulla e nessuno prova a spiegarglieli. All’interno della comunità LGBTQIA+ siamo quell* che incontrano i maggiori problemi e difficoltà, e questi problemi dovrebbero essere risolti, dovremmo parlarne, fare di più, ma siamo impossibilitate perché non sappiamo cosa o come fare. Vediamo attivist* e attivismo dappertutto ma non ci sono soluzioni per noi. Perciò molte persone trans immigrate pensano che l’attivismo sia inutile, una perdita ti tempo. Io mi considero attivista, e chiedendo spiegazioni ad altre persone trans migranti sul perchè avessero questa opinione, ho scoperto che molte si sono semplicemente rassegnate al fatto che questa vita invisibile sia l’unica vita possibile per una persona trans. Ma non è così! Come migranti transgender dovremmo poter vedere altri lati dell’attivismo e della comunità, ma raramente accade.

5. Questo punto è connesso al precendete: la mancanza di rappresentanza delle persone trans migranti nella comunità LGBTQIA+. Spesso non siamo inclus* e siamo invisibilizzat* nei gruppi LGBTQIA+. Anche a Bologna ce ne sono molti ma se guardiamo a chi c’è in quei gruppi, in quelle comunità, non vediamo nessun* come noi, non vedo persone trans migranti, non c’è nessuna. L’unica persona che vedo è Mazen e forse ce ne sono altre ma non mi capita mai di incontrarle. Ecco perché ci sentiamo alienate, ed è la sensazione più brutta. C’è un detto che dice che la cosa peggiore che si può fare ad una persona è comportarsi come se non esistesse, e loro si comportano come se noi non esistessimo. Ed, effettivamente, noi non esistiamo nei loro gruppi. E questa è la cosa peggiore che potrebbero farci, e sta accadendo all’interno della nostra comunità. Immaginate di avere un amic* gay, lesbica o bisessuale che finge che tu non esista… è doloroso. Ed è per questo che molt* di noi sono restie a collaborare con questi gruppi, con queste persone, perchè non ci sentiamo rappresentat*.

6. L’ultimo punto riguarda il privilegio bianco e la supremazia gay cis nella comunità. Altre persone parlano dei miei problemi al posto mio, ma io ho una voce e posso parlare dei miei problemi e delle mie richieste. Ma non ci invitano, non ci lasciano parlare e fanno sì che veniamo fraintes*, noi e le nostre richieste. Di solito uomini gay cis italiani, bianchi e privilegiati occupano, o meglio, invadono con la forza non solo i ruoli principali ma quasi tutti i ruoli nei gruppi LGBTQAI+. Difficilmente lasciano parlare autonomamente altru, non solo noi persone trans migranti, ma anche lesbiche, bisessuali, persone intersex, queer e trans. Le persone trans migranti sono lasciate per ultime nella comunità, gruppi ed assemblee LGBTQIA+, siamo le ultime a parlare. Voglio dare un esempio: quasi un anno fa durante il primo lockdown c’era un ragazzo gay cis bianco che parlava dei problemi delle persone trans in Italia durante la quarantena. Ha dichiarato che il nostro problema principale fosse l’accesso agli ormoni, ignorando tutti i nostri problemi. E per me è stato uno shock: fermi tutti. Chi sei tu bianco italiano cis uomo per parlare al posto mio? Abbiamo altri problemi più gravi, specialmente durante il lockdown. Non hai probabilmente nemmeno un amicu trans perchè è ovvio che non hai idea di quello che dici, ma stai parlando di noi in un incontro internazionale, una grande piattaforma, con altre persone di altri paesi. Ci stava rappresentando in quella conferenza senza sapere nulla di noi, lo vedete il problema? Come se un botanico entrasse in un giardino per curare un albero malato e si soffermasse a studiare l’albero sano. Sentire una persona italiana privilegiata che si erge a rappresentante dei nostri problemi è davvero stupido.

È difficilissimo risolvere tutti questi problemi, il punto non è trovare una soluzione qui e ora, ma piuttosto dare spazio a noi per parlare per noi stessu, noi vogliamo esistere e abbiamo bisogno che ci lasciate parlare, abbiamo bisogno di spazio. Ci sono molti gruppi in cui voi parlate e vi esprimete, e la stessa cosa vogliamo anche noi. Non vogliamo certo occupare e gestire tutto lo spazio come dei maschi gay privilegiati, noi vogliamo solo essere coinvoltu, parlare. Ne abbiamo bisogno.

Grazie per avermi ascoltata, grazie a tuttu.

 

TDOR a Bologna 21 Novembre 2020

Quest’anno il TDoR (Transgender Day of Remembrance) verrà commemorato durante una pandemia che ci ha trovat* impreparat* e che ha accentuato le distorsioni del sistema in cui siamo immers*. Sistema che obbliga i lavoratori e le lavoratrici ad anteporre la priorità della produzione alla sicurezza sanitaria. Con l’emergenza Covid le disuguaglianze sociali si sono acuite e accentuate, portando all’isolamento sociale e all’esclusione dai sostegni al reddito oltre che dalle possibilità di incontro, scambio e mutuo aiuto.

La violenza di genere contro le persone trans non è cessata. L’Italia è sempre al primo posto nelle classifiche europee per il numero di donne trans uccise dalla violenza sistemica di genere. È una violenza intrisa di transfobia, misoginia, razzismo.

La violenza è sistemica e il TdOR si pone in continuità con la giornata internazionale contro la violenza di genere del 25 Novembre, nella prospettiva transfemminista che Non Una Di Meno da anni porta nelle strade e nelle piazze.

Per questi motivi chiamiamo in piazza la comunità trans tutta e i/le su* alleat*, non solo per commemorare le vittime, ma per avere un momento assembleare dove poter parlare insieme dei bisogni materiali della nostra comunità e mettere in rete le azioni concrete di mutualismo che diverse associazioni e collettivi della città stanno mettendo in atto. Durante l’assemblea sarà dato modo a tutt* di poter dare il proprio intervento. Come organizzatrici vi chiediamo di preparare interventi che mettano in risalto i bisogni concreti e le azioni mutualistiche che vorreste proporre o che già state realizzando. Crediamo che il TDoR sia l’occasione per la comunità T* di rompere l’isolamento forzato dalla pandemia di questi mesi e per dare risposte concrete, oltre al denunciare la violenza patriarcale che non solo ci uccide ma che impedisce di avere pari diritti e dignità.

In piazza sarà possibile contribuire alla raccolta alimentare lanciata dal MIT la raccolta di pc e tablet per persone LGBTIQ+ lanciata da B-Side Pride.

Inoltre come organizzatori vi chiediamo di contribuire alla raccolta fondi per le compagne trans detenute presso il carcere di Reggio Emilia. Sarà possibile donare direttamente all’evento.

L’appuntamento è per sabato 21 novembre 2020 alle ore 16.30 in piazza dell’Unità (zona Bolognina) a Bologna.

Saranno predisposte tutte le misure per il distanziamento fisico per prevenire il contagio covid e sarà richiesto l’uso della mascherina.

Organizzatori
MIT
BSIDE PRIDE
CASSERO LGBT CENTER
LAB SMASCHIERAMENTI
UNILGBTLA MALA EDUCATION
MUJERES LIBRES
ELASTICO FA/ART
OMBRE ROSSE
Per adesioni scrivete a info@mit-italia.it

Evento facebook qui

 

Assemblea Rete nazioAnale TFQ // 7&8 Nov 2020

La pandemia globale da coronavirus e la crisi economica che ha generato hanno mostrato le vulnerabilità e l’interdipendenza dei corpi, dei territori, delle specie e delle popolazioni. È necessario costruire reti di mutualismo a favore delle comunità di chi ha subito maggiormente le conseguenze della crisi. La ricaduta delle misure di sicurezza e igiene pubblica, infatti, è stata fortemente asimmetrica e ha segnato ancora di più le gerarchie e le divisioni neoliberali di classe, di razza, di genere e di sessualità. Come lesbiche, frocie, bisex, persone trans, intersex, asessualx, madrx, femministe e transfemministe queer abbiamo sempre lottato mettendo al centro la riproduzione sociale e mai come in questo momento è emersa la sua rilevanza rispetto alla produzione. Tuttavia, nonostante la centralità della salute degli individui nel discorso pubblico, il diktat della produzione, dell’estrazione e del profitto si è imposto sulla cura, che ora come non mai si dimostra terreno di lotta politica.

Già nel contesto del percorso Marciona 2020 avevamo affrontato questi temi, dando priorità alla presa di parola queer nello spazio pubblico attraverso la critica alla forma “Pride” mainstream. Dopo l’inizio della pandemia, ci siamo riunit* in diverse assemblee trans-territoriali e ne abbiamo evidenziato le ricadute sulla materialità delle vite queer, punto di partenza imprescindibile per costruire le nostre pratiche.

Abbiamo agito secondo un principio di autoresponsabilizzazione collettiva per il contenimento del contagio e di autogestione critica del distanziamento fisico, scegliendo di porre al centro il mutualismo. Agire mutualismo e solidarietà queer, oltre che rispondere alla necessità materiale di scambiare risorse, cibo, denaro, ha una forte valenza politica: rendere visibili forme di relazioni “altre”, reti di affetto e sociali non familistiche e non di sangue.

Infine, siamo finalmente sces* in piazza numeros*, da Milano a Bologna, Torino, Rimini, Firenze, Bergamo, Messina, Roma, Genova, dando vita ad un Coordinamento Pride transfemminista queer, in una cornice comune (https://marciona.noblogs.org/…/verso-un-pride…/). Queste le nostre rivendicazioni: la lotta alla violenza di genere e dei generi e allo stigma che colpisce sex worker e persone sieropositive, per la depatologizzazione delle transizioni e delle vite trans e non binarie, in solidarietà con il movimento Black Lives Matter e con tutte le resistenze queer, femministe, antirazziste, anticolonialiste, antispeciste, antifasciste globali.

La discriminazione non è un fatto meramente culturale, produce disuguaglianza sociale e materiale, per questo chiediamo reddito di autodeterminazione e accesso a salute, casa, istruzione per ognun*: per transitare fuori dai vincoli famigliari, patriarcali e omosociali. A partire da questa lettura della violenza strutturale e eteropatriarcale abbiamo preso parola anche sulle proposte legislative a contrasto dell’omolesbobitransfobia.

Abbiamo scelto di convocarci tutt* per due giorni come nuova rete transfemminista queer per confrontarci sul percorso compiuto fino ad ora e rilanciare la nostra iniziativa politica.

Questi due giorni saranno strutturati online.

PROGRAMMA:

Sabato 7 Novembre 2020: WORKSHOP E TAVOLI TEMATICI

I tavoli sono organizzati in modalità World Cafè e saranno accessibili online: ogni tavolo è composto da sottogruppi, all’interno dei quali una persona volontaria terrà un resoconto e si occuperà della gestione della trasmissione online. Un’altra persona coordinerà la discussione proponendo alcune domande inerenti al tema del sottogruppo. Ogni partecipante può muoversi tra i sottogruppi per contribuire alla discussione. Alla conclusione, verranno messi a confronto i resoconti di ciascun sottogruppo per elaborare una sintesi da presentare in plenaria la domenica.

**** 10:00 Presentazione e benvenuto
https://vc.autistici.org/ReteNazioAnaleTFQ

**** 10:30-13:30
1. Tavolo SCUOLA
https://vc.autistici.org/TavoloScuola
2. Tavolo MUTUALISMO https://vc.autistici.org/TavoloMutualismo

**** 13-14 PAUSA

**** 14:30-17:30
1. Tavolo SALUTE
https://vc.autistici.org/TavoloSalute
a. Salute mentale
b. Salute trans e accesso agli ormoni
c. Consenso e COVID
d. Accesso alla Salute riproduttiva e non riproduttiva (MTS, HIV, Aborto)

2. WORKSHOP Riot porn by abrACABlab
>Il workshop sarà diviso in due:
– Quanti occhi ci guardano?: autodifesa urbana contro i dispositivi di sorveglianza (online o in presenza)
– Autoproduzione di sex toys vegan con tutto quello che abbiamo già a casa (online)
https://vc.autistici.org/WSRiotporn

****16-19
1. Tavolo Metodo e comunicazione
https://vc.autistici.org/TavoloMetodoComunicazione
a. Strumenti di comunicazione interna
b. Strumenti comunicazione verso l’esterno e grafica
c. Autodifesa digitale (Torino)

Domenica 8 Novembre 2020: assemblea plenaria

**** h11
Autoformazione Mumble https://vc.autistici.org/mediamarci

**** h15
Plenaria (Mumble)
http://farma.cisti.org

ODG
> Restituzione e confronto sui workshop di sabato
> Condivisione di pratiche locali e nazioanali
> Transfemministe queer in piazza: come prendiamo parola e agiamo nello spazio pubblico?

Evento FB

credits AthenA https://www.facebook.com/athenaoxcrew/

Gender Panic! Molto più di Zan! 11 Luglio a Bologna

Molto più di Zan!

Evento FB

Siamo froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, rifugiat*, razzializzate, donne, lesbiche e lesbicx. Siamo transfemministe. Siamo corpi desideranti, e vogliamo essere libere dalla violenza strutturale che l’eteropatriarcato ci impone ogni giorno. Per liberarci serve molto di più di una legge, lo sappiamo, per questo la nostra lotta non si è mai fermata. Chiediamo molto più della legge Zan, perché non ci basta inasprire le pene a costo zero, ma vogliamo un cambiamento radicale della società che ci opprime.

Il dibattito sulla legge Zan è lo specchio della stessa violenza che viviamo ogni giorno: persino quando si parla dei nostri corpi le parole sono quelle degli oppressori. La nostra presa di parola vale molto di più di quella di chi scende in piazza in difesa del proprio privilegio, rivendicando il diritto alla violenza e chiamandolo libertà. La nostra presa di parola vale molto di più di quella di qualche sedicente femminista, intenta a riprodurre il controllo sui nostri corpi che ha imparato dal patriarcato. La nostra presa di parola vale molto di più, perché è di noi che si sta parlando.

Vogliamo molto di più di una legge incentrata sui dispositivi punitivi. Lo abbiamo detto a Verona con Non Una Di Meno, lo abbiamo detto nelle piazze favolose del pride transfemminista queer, e lo diremo di nuovo questo sabato. Il dibattito sulla legge contro l’omolesbobitransfobia è l’ennesimo tentativo di trattare delle garanzie giuridiche minime come una merce di scambio, in una società che ancora non riconosce la nostra esistenza.

Il contesto pandemico ha dimostrato quanto la legge italiana sia espressione del patriarcato e del binarismo di genere. È risultato evidente nell’imbarazzante graduatoria degli affetti stilata dal governo all’avvio della Fase 2, rigidamente vincolati a legami di sangue o di relazioni eteronormate. Ancora più violentemente, si è imposta sui corpi delle donne e delle soggettività femminilizzate costrette nelle proprie case insieme a compagni e padri violenti.

Per cambiare questa realtà non basta inasprire le pene: ciò che serve è un cambiamento radicale del presente. Sappiamo anche che la violenza quotidiana subita da persone queer, trans e dissidenti difficilmente viene a galla proprio perché denunciarla significa esporsi nuovamente ad essa. Ma sappiamo anche che chi si sta opponendo a questa legge di questa violenza è complice. Negare che esistano forme di violenza indirizzate contro esperienze di genere che non rientrano nei ruoli prescritti da questa società patriarcale significa legittimare che migliaia di persone siano oppresse e precarizzate più intensamente a causa di quegli stessi desideri dissidenti e che non abbiano strutture alle quali rivolgersi quando subiscono violenza, significa negare che la discriminazione produce disuguaglianza economica e sociale.

Riconoscendo quindi che l’omolesbobitransfobia, come la violenza di genere e del genere, come la misoginia, non è un atteggiamento psicologico individuale, non è una violenza episodica, non è una mera discriminazione correggibile con una legge, ma è sistemica e strutturale, chiediamo molto di più del ddl Zan. C’è bisogno di agire in prevenzione nelle scuole. Se da un lato le scuole sono luoghi dove molt* persone lgbtqi possono stare lontano da famiglie violente e creare comunità in cui riconoscersi, allo stesso tempo spesso è anche il luogo in cui si riproduce la violenza sistemica. Vogliamo un cambiamento radicale della scuola, una revisione dei programmi e dei libri di testo, formazione per le insegnanti, educazione sessuale, affettiva e alle differenze, soldi. La scuola deve essere il luogo dove vengono abbattute le barriere di genere, classe, razza, orientamento sessuale. Solo così si potrà contrastare l’omolesbobitransfobia e non limitarsi a punirla.

C’è bisogno di rafforzare, in tutte le forme e luoghi possibili, i centri antiviolenza. Negli ultimi anni abbiamo visto un generale disinteresse verso i centri antiviolenza, lasciati senza finanziamenti o minacciati di chiusura, da ultimo l’esperienza di Lucha y Siesta a Roma. Noi chiediamo di più, non solo che questi centri non vengano depotenziati, ma anche la creazione di centri antiviolenza lgbt autogestiti.

C’è bisogno di un reddito di autodeterminazione, universale, individuale, slegato dal lavoro, per emanciparsi dalle famiglie di origine e sottrasi alla violenza domestica e anche come risarcimento per essere dell* bambin* e adolescenti queer in una società eteropatriarcale!

Per questo sabato 11 luglio saremo nuovamente in piazza a Bologna contro la violenza di genere e dei generi, per chiedere che sia riconosciuta la natura sistemica della violenza che colpisce tuttx noi. Il transfemminismo produce relazioni dissidenti e soggettività autodeterminate, che sono gli unici anticorpi possibili di fronte alla violenza strutturale dell’eteropatriarcato. Di fronte a questa violenza torniamo in piazza, per chiedere molto più della legge Zan! Dichiariamo lo sciopero permanente dai generi imposti e normalizzati! Alla reazione di gender panic causata dal solo nominare il “genere”, rispondiamo alzando la posta: noi siamo già oltre il panico, siamo paniche!

#genderpanic #bsidepride #nonunadimeno #ddlzan

I credits per la favolosa grafica vanno ad AthenA! Grazie!

11/07/2020 Piazza Nettuno dalle 18:00 alle 21:00

B-Side Pride

 

Non saremo “congiunti” ma unite nella lotta

B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.