Non saremo “congiunti”, ma unite nella lotta! Comunicato sulla “fase 2” dell’emergenza COVID-19

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B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

????L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (del 26 aprile 2020) è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

????Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

????Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

????Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

????State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.

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Aggiornamento: Il 3 maggio 2020 sono state pubblicate sul sito del governo le FAQ che chiariscono che i “congiunti” cui si può fare visita sono “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)“.

Per noi, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo non sono necessariamente le coppie di fidanzati/e, ma putroppo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio alla stampa indicano proprio questa interpretazione. E’ facile immaginare che interpretazione ne daranno le forze dell’ordine. Non sappiamo che interpretazione ne darebbe un giudice in caso di constestazione della multa, ma sappiamo che questo non è uno strumento accessibile per tutti, nè agevole.

Qualsiasi cosa decidiate di fare per stare in contatto con le persone a voi care, vi invitiamo a valutare tutti gli strumenti possibili per minimizzare i rischi di contagio per voi stess*, per loro e per tuttu senza rinunciare a vivere e coltivare i vostri affetti (mascherine, distanza, igiene, magari andarci in bici e non in autobus ecc.), non in nome dell’obbedienza a un decreto ma prima di tutto in nome della salute come bene comune.

Punto di vista di B-Side Pride su Violenza di genere e dei generi

Partiamo dalle nostre esperienze di vita e dall’intersezione tra diverse traiettorie di oppressione per costruire un posizionamento critico rispetto al binarismo di genere obbligato e naturalizzato così come alla costruzione del genere. Dall’inizio alla fine della nostra vita veniamo socializzat@ come uomini e donne, riconducendo l’identità di genere al sesso assegnato alla nascita. Tale binarismo è dato per assunto in quanto prima cellula su cui si fondano le strutture della società eteropatriarcale: la coppia eterosessuale, la famiglia, e a seguire tutti i corpi sociali.

Il mantenimento del binarismo di genere, in regime di eterosessualità obbligatoria, è strettamente necessario alla riproduzione sociale e si trova alla base di ogni forma di violenza di genere e del genere. Questi due tipi di violenza condividono lo stesso campo discorsivo e sono strettamente legati alle modalità in cui la disparità di potere organizza la violenza strutturale. La violenza di genere si manifesta, dal momento che il genere maschile detiene il privilegio e lo esercita in forma di dominio e prevaricazione, sottomettendo – a partire dalle donne – ogni altra soggettività “subalterna”; mentre la violenza del genere si genera dalla normalizzazione e dalla naturalizzazione del comportamento eterosessuale e dell’identità di genere a partire dalle caratteristiche fisiche e riproduttive del corpo che si abita, per cui tutti i comportamenti che non riflettono la norma sociale, di conseguenza, si considerano “devianti” e sono esposti a varie forme di violenza sociale, da quella fisica all’isolamento. Dalla parzialità e pluralità del nostro vissuto ci è chiaro che la violenza è strutturale e si articola e si riproduce in tutti i luoghi che quotidianamente attraversiamo e nelle relazioni che intessiamo.
Il patriarcato è alla base della cultura capitalistica e colonialista ed è determinante poiché garantisce l’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento che rispondono alle logiche del profitto e dell’accumulazione capitalistica. Il sistema si alimenta e trae vantaggio economico dallo sfruttamento della donna e del suo lavoro riproduttivo e di cura non retribuito, del quale è resa unica responsabile e nella cui vita ha forti ripercussioni pratiche. Il capitalismo si avvantaggia, inoltre, di altre forme di subordinazione culturale basate sul genere, sulla classe e sui continui processi di razzializzazione al fine di mantenere lo status quo e l’ordine economico dedito al profitto di pochi. Il controllo della sessualità e della riproduzione diventano due strumenti determinanti nel sostentamento del sistema capitalistico, andando a ridefinire con nettezza i confini dei nostri corpi e le loro possibilità.

“Il buon padre di famiglia” e il “bravo e onesto cittadino” sono state le due figure maschili che si sono scambiate il ruolo di guida nella società fino ad adesso. La loro guida è stata silenziosa ma efficace: un personaggio caricaturale a cui assomigliare, a cui dare il volto dei protagonisti della cultura pop e dei modelli scolastici. Un uomo che non deve chiedere mai, e allo stesso tempo che ha bisogno di una donna da proteggere con cui completare la sua vita. Un uomo che non può piangere, e che deve dimostrare la sua forza ad ogni costo. Un uomo così è il prototipo su cui le nostre relazioni si sono infrante, i nostri diritti calpestati, le nostre soggettività non riconosciute, le nostre fragilità usate come debolezze. L’amante geloso, che ama così tanto da uccidere, non è tanto diverso dal capo di stato che per amore del suo paese deve combattere “con ogni mezzo necessario”, anche se questo significa guerra e il calpestio dei diritti umani.
In Italia siamo tristemente abituat@ a vivere episodi di violenza sulle donne e sulle persone queer: deteniamo inoltre il primato in Europa per omicidi di persone trans, in costante aumento rispetto agli anni precedenti. Le famiglie e gli affetti sono spesso i primi ad essere gli autori delle violenze, che durante la reclusione causata dalla pandemia di Covid abbiamo visto crescere esponenzialmente.
A partire dall’infanzia e adolescenza, in cui famiglia e scuola sono centrali per lo sviluppo della persona, ci si vede inquadrat* in un sistema di regole precise, che disciplinano i nostri corpi e le nostre vite in ogni particolare: assistiamo costantemente a episodi di bullismo omofo e a un sistema educativo che riproduce il binarismo di genere, mentre invisibilizza strutturalmente forme diverse di soggettività. L’abuso psicologico, lo stress e l’insicurezza rispetto alla realtà scolastica sono troppo spesso una realtà bruciante per le persone queer, che si vedono sprovviste di strumenti per reagire davanti a situazioni tutt’altro che adeguate al benessere psicofisico della persona. All’università ci si confronta ancora una volta con saperi eteronormativi e coloniali, che rimuovono sistematicamente donne e soggettività non conformi: dai corsi di medicina, in cui in corpi di donne, persone trans e intersex vengono letti solo in un’ottica patologizzante, a quelli di pedagogia, la cui struttura riflette fortemente l’impianto familistico indispensabile per la riproduzione sociale del sistema capitalistico. Ancora una volta le persone trans sono tra i soggetti più colpiti dalle asimmetrie che caratterizzano gli spazi universitari: basti pensare alla Carriera Alias, fornita solo in alcuni atenei nel panorama accademico italiano.
Nel nostro paese siamo ancora una volta abituat@ alla presenza fortemente ingerenze delle associazioni cattoliche e antiabortiste, soprattutto nei corsi di medicina: caso emblematico è quello del Campus Biomedico di Roma che presenta nel suo Statuto riferimenti all’aborto come “come crimini in base alla legge naturale”.
Il controllo dei corpi delle donne e delle soggettività non conformi si esprime anche attraverso la negazione del diritto alla salute. Questo è particolarmente evidente ancora una volta nel caso dell’aborto, che viene costantemente osteggiato attraverso la criminalizzazione della pratica abortiva, caratterizzata da un fortissimo stigma. L’obiezione di coscienza in alcune regioni raggiunge percentuali altissime, come il Molise dove le percentuali di ginecologi obiettori è del 96,4%, la Basilicata dove è dell’88%, la Sicilia con 83,2%, Bolzano con 85,2%: questi numeri si traducono nell’impossibilità fattuale di abortire, rendendo ancora più evidente la sottrazione continua alle donne dei propri diritti riproduttivi e non riproduttivi. In questo giocano senza dubbio un ruolo fondamentale il saldo monopolio della riproduzione nelle mani dello Stato-Nazione e l’ingerenza della Chiesa Cattolica negli ospedali e nei consultori, che collaborano per lo stesso obiettivo: il mantenimento di ogni cellula su cui si basa la società patriarcale, a partire proprio dalla famiglia e dalla procreazione al suo interno.
Questo quadro generale spiega bene anche lo scarso utilizzo della RU486, arrivata in Italia solo nel 2009 e a cui si ricorre solo nel 17,8% dei casi. La pillola, per quanto sia un metodo molto meno invasivo, viene generalmente scartata in favore dell’aborto chirurgico, con conseguente ospedalizzazione della persona e ulteriore patologizzazione della stessa. Una della battaglie più importanti di questi anni, portata avanti da Non Una di Meno insieme a collettivi come Obiezione Respinta e da reti come quella di ginecologh@, ostertich@ e professionist@ sanitarie di Pro-Choice, è stata proprio la rivendicazione per il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito, che nei tempi del COVID-19 si è rafforzata, concentrandosi sull’adozione sistematica della RU486 e sui servizi di telemedicina per la pratica abortiva, particolarmente impellenti nel momento che stiamo vivendo.
E se in questa fase ci siamo ripetut@ molto che non vogliamo tornare alla normalità perché era il problema, neanche in tema di relazioni esiste una normalità, monolitica e normativa, a cui vogliamo tornare: la società capitalista e patriarcale, infatti, prevede solo una forma di codificazione di queste ultime, ossia la coppia monogama eterosessuale basata sull’amore romantico, che viene rappresentata come unico modello possibile. Sappiamo bene che non esistono forme migliori di altre: l’unità di misura non è quante persone sono coinvolte, né la definizione che si danno o non si danno o la gerarchizzazione di quei rapporti, ma la comunicazione e la continua ricerca del consenso e del benessere di tutte le persone coinvolte. In questo, la pratica transfemminista gioca un ruolo fondamentale: come un prisma colpito dalla luce, il transfemminismo rompe le certezze delle relazioni su cui si basa la società patriarcale, restituendo per diffrazioni infinite combinazioni inedite, favolose e dissidenti.
Altro spazio di riproduzione dell’esistente determinante sono le istituzioni, di stampo reazionario e bigotto, spesso tristemente caratterizzate dall’utilizzo di politiche securitarie. Nella loro funzione normativa e repressiva sono coadiuvate dalla pervasività di un discorso politico, culturale e sociale che lascia che l’esistente si riproduca senza sconvolgimenti, mantenendo intatte le disuguaglianze e le ingiustizie: un ruolo determinante è giocato dalle realtà di estremismo cattolico, che continuano a diffondere con tutti i mezzi a diposizione retoriche reazionarie strutturate su un impianto familistico, eteropatriarcale e fortemente discriminatorio nei confronti delle soggettività non conformi, attraverso il perpetuamento della fantomatica ideologia gender
Recentissima è la dichiarazione del papa emerito Joseph Ratzinger, che attribuisce all’aborto e ai matrimoni omosessuali come colpevoli della crisi societaria contemporanea.
Tale retorica è stata il fil rouge XIII Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Families, WCF) tenutosi a Verona nel marzo 2019 dove si è riunito il movimento globale antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI nonché tre importanti ministri del governo italiano: le istituzioni neofondamentaliste e neoconservatrici risultano ancora una volta essere legate a doppio giro con le forze delle destre neofasciste.
Tuttavia nella città di Verona, una delle più salde roccaforti della destra nel nostro paese, si sono riversate migliaia di attivist*, guidate dalla forza propulsiva del movimento transfemminista di Non Una di Meno e di tantissime altre associazioni e collettivi.
I tribunali risultano come l’ennesimo spazio in cui si determina la riproduzione della società eteropatriarcale. La classificazione binaria maschio-femmina rende inattuabile per tutte le persone non-binarie la possibilità di optare, alle stesse condizioni date per le persone trans, per un genere anagrafico che contribuisca a lenire le sofferenze psichiche derivanti dall’asimmetria tra la percezione di sé quale essere sociale e la contrastante collocazione legale. Lo stato italiano non offre la possibilità alla persona non-binaria di autodeterminarsi, di conseguenza nessun documento rilasciato dallo Stato Italiano prevede l’esistenza delle persone non binarie – agender, genderqueer, fluid etc – obbligandole a dichiararsi sia ufficialmente che in contesti informali col sesso di nascita. Ad oggi il riconoscimento ufficiale, sociale e legale della persona trans in Italia avviene dopo un lungo processo di tappe fisse e prestabilite in cui la persona è obbligata a seguire un iter medico e psicologico imposto dall’alto.

Punto di vista di bside su Trans

B-Side Pride lotta per smontare l’idea che esistano due soli generi e che siano naturalmente legati a due soli sessi anatomici, perchè su questa idea si basano l’oppressione e la violenza di genere e dei generi. E’ una lotta che si svolge allo stesso tempo sul piano della cultura, della salute, delle tecnologie biomediche, dell’organizzazione sociale ed economica. Le persone trans sono in prima linea in questa lotta, ma è una lotta che in realtà riguarda tutt*, perchè anche se in modi e in misura diversa, tutt* siamo oppress* dall’imperativo sociale di adeguarci ai canoni dei due generi imposti. Per lo stesso motivo, il punto di vista trans è prezioso in tutti gli ambiti della nostra lotta e non lo releghiamo alle questioni “specificamente trans”, come troppo spesso accade.  
L’esperienza trans è molto variegata e complessa. Ci sono persone trans* che si ritrovano in immaginari non binari e che vogliono essere riconosciute come tali. Ci sono persone trans* che pur percependosi soggettivamente al di fuori della categoria binaria uomo/donna, sentono il bisogno di un riconoscimento sociale, legale o medico che qualcosa di binario ce l’ha, perchè lo desiderano o semplicemente perchè è l’unica soluzione sostenibile per loro in un  contesto sociale in cui la presentazione di genere non conforme alla norma è severamente punita. E ci sono persone trans che si percepiscono come assolutamente donne o assolutamente uomini, che sentono propria la narrativa di essere nat* nel corpo sbagliato. Sia le persone non binary che le altre possono avere bisogno e desiderio di intervenire sul loro corpo con cosmetici, ormoni, chirurgia e altro. Non rivendichiamo nessuno di questi vissuti come l’unico possibile o l’unico autentico e rifiutiamo narrative escludenti che implicitamente o esplicitamente suggeriscono che non sei “veramente” trans se non vuoi intraprendere alcuni dei passaggi medici o legali classicamente associati ad una transizione. D’altra parte, rifiutiamo quei discorsi che suggeriscono che l’identità non binaria sia in qualche modo più rivoluzionaria, più destabilizzante per il sistema dei generi, o più… “cool”. Il sistema di genere in cui viviamo si fonda sulla costruzione sociale naturalizzata che esistano “naturalmente” solo due generi,  ma anche e soprattutto sul fatto che il genere è assegnato dall’esterno a partire dal momento in cui nasci sulla base dei genitali. Uscire dalla casella assegnata alla nascita è innegabilmente destabilizzante per il sistema.
Sul piano individuale, non ci sembra abbia senso definirci “binary” / “non binary” in base alle tecnologie del corpo che decidiamo di usare o non usare, nè tanto meno in base alla percezione e lettura altrui. Sul piano collettivo, la nostra visione è anti-binaria non perchè siamo tutt* di genere fluido, ma perchè politicamente ci battiamo per costruire una cultura in cui i generi non siano imposti, in cui la creatività nell’espressione di genere non sia sanzionata, in cui le tecniche e le tecnologie biomediche siano al servizio del benessere e dell’autodeterminazione delle persone e non a sorveglianza dei confini fra “maschile” e “femminile” e a servizio del mantenimento del sistema sociale per come è. 
Vivere ed esprimere un genere diverso da quello assegnato alla nascita, o diverso dai due generi canonici, non è di per sè un processo drammatico e doloroso: sono i pregiudizi, le discriminazioni, la violenza del contesto intorno a farlo diventare tale. Lottare contro tutto questo e creare reti di solidarietà e mutuo riconoscimento trans, frocie e lelle è un  modo per far emergere la nostra euforia di genere, il piacere di esprimere il genere che sentiamo più nostro insieme alle/agli altr*, alla faccia di chi vorrebbe trasformarlo in tragedia. 
          
      
Anche il lavoro di psicologi/e che dovrebbe essere un servizio per la salute, garantito e accessibile per le persone trans come per tutt*, una risorsa di cui potersi avvalere se se ne sente il bisogno e se lo si sceglie, e non un’imposizione. 
Oggi per accedere alla chirurgia le persone trans devono ottenere l’autorizzazione di un tribunale, per avere gli ormoni devono avere la ricetta di un medico specialista, e secondo il protocollo applicato nella maggior parte d’Italia prima di averla devono necessariamente vedere uno psicologo per almeno 6 mesi. Per cambiare il sesso anagrafico e il nome, poi, bisogna affrontare un altro iter in tribunale, dove l’operazione chirurgica di rimozione degli organi riproduttivi è ancora considerata da molti giudici la “prova” decisiva. Oltre a questo le persone trans affrontano ogni giorno discriminazioni nell’accesso al lavoro, alla casa, ai servizi sanitari. 
Ci battiamo insieme: 
per essere liber@ di vederci riconosciuta la nostra identità ed espressione di genere senza discriminazioni
per essere liber@ di scegliere come attuare il nostro percorso di transizione, senza intermediari giuridici
per la gratuità delle terapie ormonali sostitutive e mantenimento di ogni trattamento medico-chirurgico, per garantire il nostro pieno benessere psico-fisico e la nostra salute sessuale 
per poter cambiare autonomamente i nostri dati anagrafici, con la sola nostra attestazione 
per trovare finalmente nel discorso pubblico e nei media rappresentazioni non pietistiche e drammatiche delle persone trans 
per fermare gli interventi medici su neonati e minori intersex! Per il diritto dei neonati intersex di vedersi assegnato un genere neutro o di non vedersi assegnato alcun genere, fino alla libera scelta dell’interessat@
per fermare ogni tipo di terapia riparativa per orientamento sessuale, identità di genere ed espressione di genere, 
per vedere rispettata l’identità trans in ogni contesto sociale, dalle scuole ai posti di lavoro al seggio elettorale ai servizi sanitari, e di conseguenza per tutti i cambiamenti necessari in questo senso nella legislazione nazionale ma anche nella legislazione locale, nell’organizzazione dei servizi, degli uffici, degli spazi, nei regolamenti, nelle prassi, nelle abitudini e nella cultura. 
per avere tutt@ accesso a casa, reddito e diritti sul lavoro! Casa e reddito sono condizioni materiali minime per il nostro benessere: un ambiente domestico ostile, il venire cacciat@ di casa per la nostra identità o la difficoltà di trovare un lavoro sono ostacoli strutturali ai nostri percorsi e alle nostre transizioni.
B Side Pride aderisce alla piattaforma per la riforma della legge 164  https://mit-italia.it/una-proposta-di-piattaforma-per-la-riforma-della-legge-164-82/          

Il punto di vista di B-Side Pride su Migrazioni, Asilo, Antirazzismo

B-side pride crede nella libertà di transitare attraverso i generi e attraverso i confini. 
Froci, lesbiche, trans, dissidenti sessuali e donne in cerca di libertà si muovono da ogni parte del mondo – che sia dal Marocco o dalla Libia o dalla provincia italiana – alla ricerca di un posto più accogliente dove vivere.
 
Nei luoghi di arrivo ricostruiscono reti di affetto e solidarietà che ci mostrano come la famiglia basata sul matrimonio e i legami di sangue non è l’unica forma di vita possibile.  
 
Le migrazioni di massa sono un processo che non si può fermare, e che affonda le radici nell’iniqua distribuzione della ricchezza fra paesi del cosiddetto Nord e Sud del mondo (e in piccolo anche fra Nord e Sud d’Italia). Questa distribuzione non equa non è dovuta a cause naturali ma agli esiti storici del colonialismo perpetrato dai paesi europei. Inoltre molte persone fuggono dalle guerre, nelle quali i paesi occidentali hanno spesso pesanti responsabilità. 

Leggi tutto “Il punto di vista di B-Side Pride su Migrazioni, Asilo, Antirazzismo”

Il primo documento di B-side verso il pride bolognese del 2019

Con questo documento, nel maggio 2019 nasce il B-side Pride dopo un lungo percorso di assemblee tra singol* e realtà eterogenee, tutt* accomunat* dal bisogno di interrogarsi su come attraversare e ripoliticizzare quel fondamentale momento di visibilità e lotta per le soggettività lgbtqia+ che è  il pride.

“B_Side Pride, un nuovo percorso di movimento LGBTIQ*+ per partecipare in maniera propositiva al Bologna Pride del 22 giugno.

Un insieme di sigle, associazioni e singol* attivist*, dopo un percorso di assemblee negli ultimi mesi, lancia uno spezzone indipendente per partecipare al Bologna Pride del 22 giugno prossimo. Il B_Side Pride si presenta con lo slogan “Ascolta anche il lato B del movimento Lesbico Gay Bi Queer Inter-Trans+ (molto spesso si rivela il migliore…)” e vuole riunire i gruppi queer e transfemministi con la parte meno rappresentata del movimento LGBT ufficiale: persone LGBTIQ* migranti, richiedenti asilo e razzializzate, persone sieropositiv*, trans*, transgender e intersex, sex worker. Si tratta di rendere visibili le lettere “più oscure” dell’acronimo LGBTIQ* e quelle che ancora mancano, in un’agenda del movimento fin troppo concentrata per decenni sui bisogni delle coppie Gay. Reddito, accesso alla salute e al welfare, permesso di soggiorno, libertà di transitare tra generi e confini sono al centro delle rivendicazioni del B_Side Pride.

A 50 anni dalla rivolta di Stonewall del 28 giugno 1969 che ha dato origine al movimento LGBTQIA*+ e dopo la manifestazione contro il World Congress of Families a Verona Città Transfemminista organizzata da NonUnadiMeno, in molt* abbiamo sentito l’esigenza di un percorso politico aperto, autorganizzato, autonomo per costruire un Pride che parta realmente dai bisogni delle soggettività: e abbiamo iniziato a farlo con assemblee e iniziative che andranno oltre il Pride. In un momento in cui si stanno affermando nel nostro Paese e nel mondo razzismo istituzionale e sociale e politiche neofondamentaliste, vogliamo mettere al centro le soggettività più colpite e riaffermare che la lotta è una sola: non possiamo separare i diritti civili lgbt dalle lotte sociali, femministe e antirazziste e dalla materialità delle vite.

Ecco l’appello politico del B_Side Pride per costruire una partecipazione autonoma al Bologna Pride il 22 giugno:

“Siamo singol*, associazioni, collettivi, reti, migranti, richiedenti asilo, razzializzate, native e terrone, studentesse/i/*, sieropositiv*, sex worker, frocie, lesbiche, trans*, intersex, non binarie e transfemministe. Abbiamo storie politiche e di partecipazione al movimento lgbtqi diverse tra loro.
Abbiamo contattato un esperto di team building per aiutarci a costruire un gruppo omogeneo, ma ha miseramente fallito. Restiamo diverse, ma abbiamo diverse cose in comune.

Siamo pro/positive e porteremo gaiamente nel pride i nostri corpi e i nostri bisogni, perché pensiamo sia una manifestazione politica dove renderli visibili.

Manifesteremo il nostro orgoglio in una città dove un tempo le froce da tutta Italia venivano perché sapevano che siamo tutte qua, perché con un lavoretto e due soldi potevamo permetterci un tetto e con il coraggio e la sfrontatezza di ognuna e di tutte abbiamo frocizzato le strade. Vogliamo che Bologna resti una città vissuta da chi ci vive, piena di spazi sociali e culturali realmente autogestiti.

A 50 anni da Stonewall vogliamo continuare a reinventare un movimento autorganizzato di liberazione di corpi, generi e sessualità. Un movimento che sappia produrre, a partire da sé e dai bisogni delle soggettività che lo costituiscono, un’analisi e una pratica per opporsi alla violenza strutturale dell’eteropatriarcato che produce anche l’omolesbotransbi fobia/negatività e la sierofobia. Non si tratta di discriminazioni da correggere, ma di una matrice eterosessuale da sovvertire.
Per questo non faremo l’elenco di tutte le cose che rivendichiamo per ogni specifica soggettività: allora come ora la lotta è una, trasversale e intersezionale.

Partiamo dalla materialità delle vite queer e dalla condizione di classe, non vogliamo separare i diritti civili dai diritti sociali e economici. Lottiamo per l’accesso a reddito e condizioni di vita e benessere sociale senza le quali i diritti civili sono carta straccia o diventano privilegi per le coppie gay “italiane”. Non baratteremo briciole di riconoscimento in cambio del nostro silenzio sulle morti nel Mediterraneo e sul regime di accesso ai diritti basato sul colore della pelle! Non aspettermo che la caccia alle streghe gender, già in atto nelle scuole e università, si diffonda e si affermi come metodo di controllo dei saperi e dei corpi!

Pensiamo che Nonunadimeno abbia mostrato che si può fare un movimento transfemminista e intersezionale, si può essere in tante e incidere socialmente e culturalmente. Basta aver voglia di fare politica: orizzontale, assembleare, autonoma, desiderante e non consociativa. A Verona Città Transfemminista abbiamo visto tutt* come potrebbe essere il nostro Pride!
Per contrastare la visione fascista, familista, razzista e antigender che si sta riaffermando a livello transnazionale, attraverseremo strade e piazze orgoglios* antirazzist* e liber* di essere noi stess*. Lo faremo il 22 Giugno al Bologna B-Side Pride e non ci fermeremo più! Venite con noi!”

Adesioni:
MIT – Movimento Identità Trans
Plus – Persone LGBT sieropositive Onlus
Laboratorio Smaschieramenti
Elastico fa/art
Collettiva Elettronika
La Mala Educación
Laboratorio L’isola
Il Barattolo
Ombre rosse
Ryno

Successive adesioni:

Noialtre
Pride Off Rimini
Non Collettivo Queer Genova
Link Forlì
Urania frocia Zquat Firenze
Silvia Calderoni
The right to provoke
Stefania Alos Pedretti
Brigata della pace