VERSO UN PRIDE TRANSFEMMINISTA QUEER

 

 

Nel corso della stagione pride 2019, in molte città sono nati, nelle forme più diverse, pride transfemministi queer e critici animati tutti, come a Bologna il B-side Pride, dal comune obiettivo di ripoliticizzare la forma pride nello spirito di Stonewall, il cui cinquantesimo anniversario ricorreva proprio il 28 giugno 2019.

Nell’autunno 2019, molte delle realtà e singol* che avevano dato vita a questa onda critica si sono ritrovate nel contesto di Marciona 2020, a Milano, con lo scopo di costruire nuove relazioni a partire dalla spontanea convergenza di contenuti e di pratiche.

 
  1. IL PRIDE È RIVOLTA
  2. LA CURA È UNA LOTTA POLITICA
  3. OLTRE L’OMOTRANSFOBIA, CONTRO L’ETEROPATRIARCATO
  4. IL LAVORO SESSUALE È LAVORO
  5. UN PRIDE QUEER È UN PRIDE ANTIRAZZISTA
  6. NON ESISTONO DIRITTI CIVILI SENZA REDISTRIBUZIONE
  7. L’ISTRUZIONE È FONDAMENTALE
  8. IL PRIDE QUEER È ANTISPECISTA E AMBIENTALISTA
  9. LE TECNOLOGIE QUEER SONO AUTOGESTITE
  10. CALENDARIO PRIDE TFQ 2020

B-Side PRIDE Piazza TFQ 27G 2020

Evento FB

Il B-Side Pride invita tutt* a costruire per il 27 giugno, in piazza
Nettuno alle 13.30, una piazza del Pride favolosa, antirazzista, intersezionale, degenere, puttana, frocia, lella e trans non binaria, sierocoinvolta.

COMUNICATO STAMPA:

Dopo aver già attraversato il Pride bolognese nel 2019 e dopo una lunga serie di iniziative avviate nell’ultimo anno e durante la pandemia, B -Side Pride torna in piazza per fare del Pride una manifestazione politica per i diritti civili e sociali delle persone LGBTIA+queer: l’appuntamento è sabato 27 giugno in piazza Nettuno alle 13.30. Si suseguiranno parole, musica, suoni, performance artistiche.
La rete di singol*, associazioni, collettivi, reti, migranti, richiedenti asilo, razzializzate, native e terrone, studentesse/i/, sieropositiv, sex worker, frocie, lesbiche, trans*, intersex, non binarie e transfemministe è nata per reinventare un movimento autorganizzato di liberazione di corpi, generi e sessualità. A partire da sé e dai bisogni delle soggettività costruiamo un’analisi e una pratica per opporci alla violenza strutturale eteropatriarcale attraverso una politica orizzontale, assembleare, autonoma, desiderante e non consociativa. Durante la pandemia e nella crisi che ha generato abbiamo agito solidarietà queer e mutualismo, distribuendo cibo, farmaci, risorse, connessione internet a quant* erano senza lavoro, senza reddito o isolat*.
Ora torniamo in piazza per rivendicare: un modello di salute pubblica basato su medicina territoriale e preventiva, con il coinvolgimento dei servizi community based; centralità della salute e della riproduzione sociale, contro la produzione e il profitto; una scuola pubblica in grado di educare alle differenze, alla salute e alle libere affettività; un permesso di soggiorno europeo slegato da lavoro e famiglia e lo ius culturae; maggiori interventi specifici per rifugiat* LGBTIQ+ che ne garantiscano libertà di autodeterminazione; il superamento della legge 164 sulla transizione per una piena depatologizzazione; interventi e risorse contro la violenza di genere e dei generi (non ci interessa un aumento delle pene ma piuttosto un cambiamento culturale e sociale). Siamo contro la violenza di generi e confini, vogliamo cambiare questo mond e ci uniamo al grido transfemminista intersezionale che si alza dal nord Africa al Rojava, dall’America Latina al movimento Black Lives Matter, alla Palestina.
Sarà una piazza safer, nel rispetto della salute e della cura collettiva, attraversabile da corpi diversamente vulnerabili, come condiviso nel coordinamento transfemminista queer 2020 Marciona che organizza iniziative Pride a Milano, Bergamo, Torino, Genova,nei loghi più colpiti dalla pandemia. Segneremo con creatività lo spazio consensuale tra i corpi, per rendere safer la piazza, riappropriandoci in forma queer dei dispositivi di protezione individuale in modo da trasformarli in tecnologie di prevenzione e autocura collettiva.

DOCUMENTO E CONVOCAZIONE DI PIAZZA:

Il #27G (e dintorni) è la data che abbiamo scelto in rete con >>

MMARCIONA: VERSO UN PRIDE TRANSFEMMINISTA QUEER

La pandemia e la crisi che ha generato hanno acuito la precarietà per tuttu, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, rifugiat*, razzializzate) ci siamo ritrovat* invisibilizzate dalle retoriche e dalle politiche familiste e paternaliste con cui la crisi è stata gestita. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi nello spazio pubblico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer e di ricostruire, a partire dal #27G, uno spazio pubblico dove incontrarci e lottare insieme.

Per questo il #Pride diventa per noi più che mai l’Orgoglio per i nostri legami queer, che sono reti, sfamiglie, altre intimità, parentele spurie di affinità e resistenza, formazioni sociali che non riproducono la famiglia eterosessuale.

Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto,
della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci
connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt*, diritto a lavorare in sicurezza,
autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica. Anche per questo ci sentiamo in connessione e aderiamo alla piazza di #NonUnaDiMeno del 26 giugno ✹ Torniamo nelle strade. Ci riprendiamo tutto ✹ Bologna

Siamo in piazza contro la violenza di genere e dei generi!
La violenza è strutturale: l’eteropatriarcato è alla base della cultura
capitalistica e colonialista e garantisce l’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento che rispondono alle logiche del profitto. Il transfemminismo rompe le certezze delle relazioni su cui si basa la società patriarcale, restituendo relazioni inedite, favolose e dissidenti. Per questo crediamo che sia importante discutere della legge su omolesbotransfobia: non ci interessa l’inasprimento delle pene a costo zero, vogliamo vedere riconosciuta la natura sistemica della violenza (l’eterosessualità obbligatoria) e chiediamo interventi strutturali per sradicarla a partire da educazione e prevenzione. Inoltre, la discriminazione non è un fatto meramente culturale, produce disuguaglianza sociale e materiale, per questo chiediamo reddito di autodeterminazione e accesso a salute, casa, istruzione per ognun*: per transitare fuori dai vincoli famigliari, patriarcali e omosociali.

Siamo in piazza per la depatologizzazione delle transizioni e delle vite trans e non binarie: superiamo la legge 164!

Siamo in piazza in solidarietà con il movimento Black Lives Matter e con tutte le resistenze queer, femministe, antirazziste, antifasciste
globali, dal Rojava alla Palestina al Brasile. Qui e ora combattiamo contro il razzismo sistemico e istituzionale e in alleanza con le soggettività lgbtiqueer migranti e razzializzate: vogliamo l’abolizione delle legislazione razzista e securitaria, permesso di soggiorno europeo, decolonizzazione della cultura e della società.

Siamo sierocoivolte e da questa prospettiva guardiamo alla salute: il ruolo dei servizi di prossimità e community-based nella cura dell’hiv e la lezione post pandemia fanno emergere la necessità di un ripensamento del welfare nazionale e regionale. Che si tratti di medicina territoriale, preventiva di residenze anziani, salute mentale, carceri, strutture di accoglienza va superata la visione disciplinare che crea spazi separati in cui isolare e concentrare “l’Utente”. Chiediamo accesso alla salute pubblica, alla prevenzione, alle terapie senza discriminazioni per le persone trans, razzializzate e marginalizzate. Lottiamo contro lo stigma che ancora ci colpisce come sieropositive.

Lottiamo contro lo stigma che ancora ci colpisce come puttane. Siamo libere di sperimentare le nostre sessualità in relazioni multiple. Il sex work è un “lavoro” e prima di tutto è un lavoro di/del genere perché la relazione di cura/seduzione che si costruisce è parte del servizio che viene venduto. Il sex work è lavoro e come tale necessita di diritti e tutele: più viene invisibilizzato, maggiore è la violenza verso chi lavora. Le leggi attuali sono insufficienti perché criminalizzano la nostra attività e quindi i nostri corpi, per questo lottiamo per la totale autodeterminazione e decriminalizzazione del sex work.

Sarà una piazza “statica”, safer, nel rispetto della salute e della cura collettiva, come condiviso anche a livello di tutto il coordinamento transfemminista queer 2020 Marciona. Quindi useremo la nostra creatività per segnare lo spazio, per rendere safer la piazza, riappropriandoci in forma queer dei dispositivi di protezione individuale in modo da trasformarli in tecnologie di prevenzione e autocura collettiva.

La piazza sarà safer e attraversabile da tutt*, batterà al ritmo delle
nostre rivendicazioni e dei suoni di WoWo , RYF, Miss Schneider (Erica Jane Schneider), Favolosa Corale WannaQueer e StaMurga – Ottimista e antifascista

 

Bside pride verso una piazza pride transfemministaqueer il 27/06

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“Bisogni, desideri, lotta!” B-side Pride invita a un’assemblea pubblica virtuale per organizzare una piazza Pride transfemminista queer il 27 giugno!

Poco più di un anno fa, il B-side Pride ha iniziato un percorso di rete autorganizzata per ripoliticizzare il Pride e mettere al centro le soggettività più marginalizzate: trans non binarie, migranti e razzializzate, sieropositive, sex worker, frocie non omologate, lesbiche non transfobiche. Perché con il pride rievochiamo i moti di Stonewall del 1969, che proprio da quelle persone più marginalizzate e oppresse erano animati ed è sempre necessario richiederci cosa significa oggi per noi questa giornata. Questo processo si è dato in molte città e ha fatto emergere nuovi bisogni e rivendicazioni, che in un anno di percorso nazioAnale hanno dato vita al Coordinamento per un pride transfemminista queer 2020. Il Pride era diventato in molti casi uno stanco rituale autorappresentativo svuotato di contenuti, una passerella istituzionale a uso e consumo di un associazionismo consociativo, una politica di marketing turistico per le città o una parata commerciale di marchi e corporation. Ma anche nella normalizzazione è sempre restato un momento irriducibile di lotta gaia, di comunanza e visibilità di corpi altri, parlanti lingue differenti dal sessismo eteropatriarcale e della pubblicità gay-friendly. Per questo ci chiediamo ogni anno quali rivendicazioni vogliamo mettere nel Pride a partire dai nostri bisogni, desideri e dalla materialità delle nostre vite. Da queste domande partiamo per convocare un’assemblea cittadina (https://meet.jit.si/BisogniDesideriLottaAssembleaB-SidePride) giovedì 18 giugno alle 20 alla quale invitiamo tuttu le persone lgbtiqueer, femministe, transfemministe e alleate, gruppi, collettivi singole e associazioni.

La pandemia ha travolto tutto, le nostre vite non sono più le stesse e ci siamo autorganizzate in forme di solidarietà e mutualismo queer per resistere al lockdown che per molte ha significato perdere il lavoro, restare isolate o ritornare in famiglia (da quelle famiglie da cui siamo scappate) o essere costrette a lavorare senza protezioni o al sovraccarico di lavoro di cura e smart work in casa. Per questo, come prima rivendicazione mettiamo il diritto alla salute per tutt*, l’accesso gratuito ai farmaci, agli ormoni e alle cure. E memori di un’altra epidemia alla quale molte di noi non sono sopravvissute, memori delle lotte su hiv/aids che hanno visto la nascita del movimento queer su basi mutualistiche e di lotta sulla salute, chiediamo anche di non essere pazienti infantilizzati e creiamo autoresponsabilizzazione e consapevolezza collettive nella prevenzione e nella cura. Per questo, pensiamo di organizzare una piazza per sabato 27 giugno che sia safer, attraversabile da tutt*, munite di mascherina frocia e guanti da fist fucking o da casalingua, per dire che il distanziamento fisico non è distanziamento sociale; che le nostre reti di sorellanza sono più intense e necessarie che mai, che non siamo soltanto congiunte in coppie stabili, ma siamo unite nella lotta; che produciamo parentele spurie e s/famiglie e altre forme di intimità che vanno oltre il matrimonio e la riproduzione della società eternormativa e binaria; che autorganizziamo altre forme di socialità, affetti, produzione e circolazione di beni e risorse.

Pensiamo collettivamente per il 27 giugno a una piazza orgogliosa, favolosa, antirazzista, intersezionale, degenere, puttana, frocia, lella e trans non binaria, sierocoinvolta, che dica fortemente che non chiediamo solo riconoscimento delle coppie gay o della discriminazione che subiamo, ma redistribuzione di risorse, reddito di autodeterminazione come risarcimento per tutta la violenza eteropatriarcale che subiamo fin da prima di nascere, accesso e autogestione della salute e dei saperi, educazione alle differenze, superamento della 164, decriminalizzazione del lavoro sessuale, permesso di soggiorno europeo. Chiediamo tutto questo per costruire collettivamente le condizioni per il superamento di una società eteropatriarcale e neoliberale che vuole continuare a sfruttare corpi, popolazioni, specie e territori per il profitto.

Perché le vite queer, le vite nere, le vite frocie, le vite trans valgono e non torneremo alla normalità, perché per noi la normalità era già il problema.

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English:

“Needs, desires, struggle!” B-side Pride invites to a virtual public assembly to organize a queer transfeminist Pride event on June 27!

Over a year ago, B-side Pride started a self-organized network in order to re-politicize Pride and to focus on the most marginalized subjectivities: non-binary trans people, migrants and racialized LGBTQIA+ people, HIV-positive queers, sex workers, non-conforming queers, non transphobic lesbians. Through Pride we recall the 1969’s Stonewall movement, animated by marginalized and oppressed black/latinx/poc queers, and we believe that it is always necessary to ask ourselves what does that beginning means for us today. This kind of reflection and actions has occurred in many cities and has brought out new needs and demands, which, in one year of natioAnal initiative, have led to the creation of a “Network for a 2020 queer transfeminist Pride”. Pride has become, in many cases, a tired self-representative ritual emptied of content, an institutional runway for the use and consumption of consociational associations, a city tourism marketing policy or a commercial parade of brands and corporations. But even if Pride has been “normalized” there has always been an irreducible moment of queer struggle, commonality and visibility of different bodies, speaking different languages but similar when refusing together heteropatriarchal sexism and gay-friendly advertising. For this reason, we ask ourselves every year which demands we need to fight for during Prides, starting from our needs, desires and materiality of lives. These demands will be the opening theme of a public assembly (https://meet.jit.si/BisogniDesideriLottaAssembleaB-SidePride), Thursday June 18th at 8PM. We invite all lgbtiqueer, feminist, transfeminist and allied people, groups, individuals, collectives and associations. Pandemic overwhelmed everything, our lives are no longer the same and we have organized in forms of solidarity and queer mutualism to resist the lockdown, which meant for many of us: losing our job, remaining isolated or returning to our families (same families we ran away from) or being forced to work without protection or being overloaded with carework and smartwork at home. For all of this we demand health for all, free access to medicines, hormones and treatments. Remembering another epidemic and all of us who didn’t survive, remembering the struggles against HIV/aids that brought to the birth of queer movements focused on mutual help and universal health, we also demand not to be infantilized patients and for the creation of self-responsibility and collective awareness in prevention and treatment of HIV. For this reason, we plan to organize an event on Saturday June 27th which is going to be safer, where everyone can participate, equipped with queer masks and fist-fucking or housewife gloves, to say that physical distancing is not social distancing; to say that our sisterhood networks are more intense and necessary than ever, that we are not only united in stable couples, but we are united in the struggle; that we produce spurious relationships and s/families and other forms of intimacy beyond marriage and beyond the reproduction of eternal and binaristic society; that we organize other forms of sociality, affects, production and circulation of goods and resources. We collectively prepare for June 27th an event that will be proud, fabulous, anti-racist, intersectional, degenerate, sexwork positive, queer, lesbian and non-binary trans, sero-aware. We strongly say that we are not only asking for recognition of gay couples or discrimination, but for redistribution of resources, basic income for self-determination as compensation for all the heteropatriarchal violence that we suffer, access to self-managed health and knowledge, education on gender and sexual orientation, the overcoming law 164 on transition, the decriminalization of sexwork, a European residence permit. We ask for all this to collectively build the conditions for overcoming a heteropatriarchal and neoliberal society that continues exploiting bodies, populations, species and territories for profit.

Because queer lives, black lives, trans lives are worth and we will not accept to return to normality, because for us normality was already the problem.

English translation will be availabe.

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“إحتياجات ، رغبات ، نضال!”
يدعو B-side Pride إلى اجتماع عام افتراضي لتنظيم ساحة فخر ترانسوية كويير في 27 يونيو!

قبل أكثر من عام بقليل ، بدأ B-side Pride مساره عبر شبكة ذاتية التنظيم لإعادة تسييس مسيرات الفخر والتركيز على الموضوعات الأكثر تهميشًا: العابري غير البينيين ، والمهاجرون والمتعرضون لعنصرية ، والإيجابيون لفيروس نقص المناعة البشرية ، والعاملى في مجال الجنس ، و المثليين المستقليين و المثليات اللاتي ليس لديهن رهاب العبور الجنسي.لأنه بفخر نستحضر حركات ستوونول لعام 1969 ، و اللاتي بالتحديد بدأت من أولئك الأكثر تهميشًا و
المضطهدين ومن الضروري دائمًا أن نسأل الأن عما يعنيه لنا هذا اليوم.وقد جرت هذه العملية في العديد من المدن وأثارت احتياجات ومطالب جديدة
في عام واحد من المسار الوطني قاموا بإنشاء التنسيق من أجل فخر ترانسوي كوييري
2020.
أصبح الفخر في كثير من الحالات طقوسًا متعبًا ، ذاتيًا تم إفراغها من المحتوى وهو ممر مؤسسي لاستخدام واستهلاك
الجمعيات التوافقية سياسة تسويق السياحة للمدن أو عرض تجاري للعلامات التجارية والشركات..ولكن حتى في التطبيع كانت دائما هناك لحظة
لا يمكن اختزالها من النضال المثلي من القواسم المشتركة ورؤية الهيئات الأخرى المتحدثة لغات مختلفة عن التحيز الجنسي غير الرسمي والإعلان الصديق للمثليين. على
هذا نسأل أنفسنا كل عام عن مطالبنا التي نريد أن نضعها في الفخر بدءًا من احتياجاتنا ورغباتنا وماديتنا الحياتية.
من هذه الأسئلة سنبدأ في عقد جلستنا (https://meet.jit.si/BisogniDesideriLottaAssembleaB-SidePride)

الخميس 18 يونيو ، الساعة 8 مساءً ، ندعو فيه جميع الجماعات والمجموعات والمجموعات الفردية والجمعيات المتحالفة والنسوية المتحالفة.
اجتاح الوباء كل شيء ، ولم تعد حياتنا كما هي ، ونحن منظمون ذاتيًا بأشكال من التضامن والتبادل اللامع. قاوم الإغلاق الذي يعني بالنسبة للكثيرين فقدان وظيفة أو البقاء في عزلة أو العودة إلى العائلة ( تلك العائلات التي هربنا منها) أو إجبارنا على العمل بدون حماية أو العبء الزائد من الرعاية والعمل الذكي في المنزل.
لهذا ، كما ادعاءنا الأول وضعنا
الحق في الصحة للجميع ، والحصول المجاني على الأدوية والهرمونات والعلاجات. وإدراكا لوباء آخر لم ينجو منه الكثير منا ، وإدراكا منا لنضال ضد فيروس نقص المناعة البشرية / الإيدز التي شهدت ولادة حركة كوييرية على أسس متبادلة وقائمة على الصحة ، نطلب أيضا ألا نكون مرضى طفوليين ونخلق المسؤولية الذاتية والوعي الجماعي في الوقاية والعلاج.
لهذا السبب نخطط لتنظيم ساحة يوم السبت 27 يونيو لتكون أكثر أمانًا ، والتي يمكن للجميع عبورها ، ومجهزة بقناع مثلي وقفازات قبضة أو ربة منزل ، لنقول أن المسافة الجسدية ليست إبعاد اجتماعي. إن تشباكنا الإخوي أكثر كثافة وضرورية من أي وقت مضى ، وأننا لسنا متحدين في الأزواج المستقرين فحسب ، بل متحدون في النضال ؛ أننا ننتج علاقات زائفة و / أو عائلات وأشكال أخرى من الحميمية التي تتجاوز الزواج وتكاثر
المةجتمع الأبدي والثنائي ؛ لذلك
ننظم أشكال أخرى من المجتمع مؤثرة ، منتجة و تداول المنافع والموارد.
نفكر بشكل جماعي في 27 يونيو في ساحة فخورة ورائعة ومناهضة للعنصرية ومتقاطعة و جندريةو عاملة جنسيا و مثلية و عابرة غير ثنائية ، ومتعايشة إيجابية ، والتي تقول بقوة أننا لا نطلب فقط الاعتراف بالأزواج المثليين أو التمييز الذي نعاني منه ، ولكن إعادة التوزيع الموارد ، ودخل تقرير المصير كتعويض عن جميع أشكال العنف ضد الأم والطفل التي نعاني منها قبل ولادتنا ، والوصول إلى الصحة والمعرفة وإدارتهما بأنفسنا ، والتعليم من أجل الاختلافات ، والتغلب على 164 ، وإلغاء تجريم العمل الجنسي ، وتصريح الإقامة الأوروبي.
نطلب من كل هذا أن نبني بشكل جماعي الظروف للتغلب على مجتمع مغاير ابوي نيوليبرالي يريد الاستمرار في استغلال الأجسام والسكان والأنواع والأقاليم من أجل الربح. لأن الحياة الكوييرية وحياة السود والحياة المثلية والحياة العابرة تستحق ولن نعود إلى الوضع الطبيعي ، لأن الوضع الطبيعي بالنسبة لنا كان بالفعل هو المشكلة.

ملاحظة: خلال الجلسة سيكون هناك ترجمة بالعربية.

Basta razzismo, basta sfruttamento! Per la libertà di transitare tra generi e confini!

(For english version scroll below/pour la version française défiler vers le bas)

>>30M Piazza del Coordinamento Migranti (evento)

B-Side Pride si batte per la libertà di movimento e perché sia garantite a tutt*, indipendentemente dal colore della pelle e dalla nazionalità, e dallo status, riconosciuto o meno, di “vittima”. Lottiamo non solo per le libertà civili e politiche ma anche per le condizioni materiali necessarie ad esercitarlereddito,  libertà dalla violenza privata o istituzionale e accesso allo spazio pubblico e alle relazioni sociali. Per questo ci battiamo per un permesso di soggiorno europeo sganciato dal lavoro, per lo ius culturae, per la diffusione di una cultura davvero antirazzista e aperta.

La nostra posizione sul sistema attuale non può che essere di rifiuto, ma finché questo sistema sarà in piedi chiediamo almeno:
 

Leggi tutto “Basta razzismo, basta sfruttamento! Per la libertà di transitare tra generi e confini!”

Sono femminista, sono una sexworker

Abbiamo ricevuto questa bellissima lettera, che trovate pubblicata anche sul blog di Ombre Rosse.

Ringraziamo enormemente la compagna che ci ha inviato questo contributo, ora più che mai necessario perché Sin Putas No Hay Feminismo!

Sono femminista, sono una sexworker.

Scrivo questa lettera aperta a partire dal mio vissuto personale, che ho fatto tanta fatica a raccontare per queste ragioni:

  1. Lo stigma: chi lo fa o lo ha fatto in precedenza ti segna a vita

  2. Il pregiudizio: vi giudicheranno perché qualsiasi sia stato il motivo della vostra SCELTA, e sottoscrivo questa parola, non siete state abbastanza capaci di trovare un altro lavoro dignitoso.

  1. La morale sulla “vendita del corpo”, come se negli altri lavori non accadesse.

Il mondo della prostituzione è vasto vi sono tante forme per esercitare: in privato, nel web e nei locali sono le forme più conosciute. Vi è sfruttamento, come giustamente scrivono le/i attivist*, ma in fondo in quale settore lavorativo non c’è?

Io ci sono entrata insieme alla mia coinquilina quando avevo 24 anni e per tre anni è stata la mia attività principale, il salario che mi permetteva di pagare per la mia sussistenza e le spese. Eravamo stufe di farci sfruttare a Roma per pochi euro come cameriere o nei call center o nei supermercati, stufe marce delle manate sul culo nei pub da parte dei proprietari, dei contratti a nero, di essere spremute come limoni infilando 3 lavoretti di merda e dover sottostare al nero degli affitti dei padroni palazzinari. Volevamo tutto e questo lavoro ci ha permesso per tre anni di essere autonome. Certo, abbiamo scelto noi, ragazze bianche occidentali e istruite nelle scuole con il nostro diplomino utile solo ad essere sfruttate nel precariato. Abbiamo risposto ad un annuncio, ci siamo registrate come ragazze dello spettacolo, il contratto per ragazze di sala e via, è iniziata così. Per tre anni ho vissuto di notte nei locali notturni, la prestazione la stabilivamo fra di noi e sotto una certa cifra non si scendeva: una concertazione fra le stesse lavoratrici, esperienza che ho fatto fatica a trovare fuori, nel mondo diurno, che si definisce moralmente autorizzato a sfruttare.

Ho lavorato con ragazze che avevano un’alta preparazione scolastica e chi no, ragazze normalissime e soggettività Lgbtqia (sì, esattamente, riguarda anche noi) e ragazze che venivano da svariati paesi. Ora la chiamerei sorellanza perché il femminismo mi ha insegnato a trovare le parole, allora la chiamavo complicità. Certo, i primi tempi non sapevo come gestire la situazione con i clienti e cosa fare, chiedevo alle altre come si comportavano, ero impacciata. Se mi trovavo in difficoltà con le ragazze ci scambiavamo i numeri e quando si era nel locale c’erano dei segnali per interrompere il tavolo e se non potevi farlo qualcuna ti aiutava a toglierti da una situazione poco piacevole. Spesso chi era da più tempo dava consigli alle ragazze appena arrivate e sui clienti. Quando staccavo preferivo non essere sola e spesso uscivo dal locale con un’altra, quando era possibile.

Il moralismo che la nostra società ci inculca ti inibisce finché comprendi che hai consapevolezza di te stessa e. allora, vai come un treno, smonti dall’interno la gerarchia di potere e… vedi come i ruoli possono ribaltarsi. È un lavoro: si offre una prestazione. È a causa deIl moralismo che narra questo lavoro esclusivamente come mercificazione dei corpi che ancora ci ritroviamo nella diatriba tra abolizione e riconoscimento.

In questo testo descrivo la mia esperienza personale che non è uguale per tutt*, ognun* ha un suo vissuto e percezione: chi prende parola lo fa partendo da sé ed ecco perché è violenta la pratica di parlare per conto dei/delle sexworker.

Si possono creare delle solidarietà tra lavoratrici? Sì, è la mia risposta.

Ho versato i miei contributi allo Stato e ciò che più mi fa rabbrividire è che devo nascondere un pezzo della mia vita lavorativa ad altri, l’unico lavoro che io ho scelto. Il resto, infatti, è stato raccogliere ciò che avevo intorno ed essere sfruttata veramente tra capi e capetti che senza autorizzazione esercitano il potere. Questo dovrebbe farci esplodere di rabbia: lo sfruttamento sistematico nella gerarchia di potere. Lavoretti sottopagati, ricatti subiti per un salario di merda ma che ipocritamente accettiamo perché moralmente sono lavori accettabili, anche se stai vedendo le braccia, la tua vita in balìa del mercato, dove altri decideranno della tua vita… ma troviamo queste scelte più “dignitose”. Perché?

È più giusto farsi sfruttare in un qualsiasi lavoro, ma se scelgo di essere sexworker sto vendendo il mio corpo e mi sto facendo sfruttare anche se ho scelto io chi, come, dove quando? È un paradosso grosso quanto un palazzo perché mi sento più sfruttata adesso come lavoratrice che quando facevo sexwork! Lottare per avere diritti sul lavoro è sacrosanto, sia che pulisci i pavimenti, o che tu sia una cassiera, un’operaia in produzione o una cameriera: non ci sono lavoratrici e lavoratori di serie B. Trovo veramente contraddittoria la questione dello sfruttamento perché c’è chi prende parola sui/sulle sexworker e non si spende minimamente per esprimere indignazione sullo sfruttamento sistemico che avviene tutti i giorni nei luoghi di lavoro.

La prima osservazione che mi hanno sempre fatto quando ho dichiarato di essere stata una sexworker é “lo hai fatto perché sono stata costretta dagli eventi”. Sinceramente ho scelto un lavoro che mi dava un salario fra i pochi che c’erano.

-Mi hanno sfruttata?

-No, negli altri lavori invece sì, ed ancora oggi lo sono!

-Perché hai smesso? Evidentemente non reggevi la situazione…

-No! Ho cambiato lavoro come tanti altri!

Dovremmo domandarci invece: perché continuare a trattare da “salvatrici femministe” le/i sexworker? Quali sono invece le loro/nostre richieste? Dovremmo smettere di infantilizzare e cercare sempre i punti deboli delle loro/nostre ragioni o del perché fanno questo lavoro. Sono stata una sexworker e conosco benissimo lo stigma che ci si porta dietro, gli sguardi, i giudizi e pregiudizi.

Essere attivista transfemminista impegnata mi ha dato la forza di uscire fuori e, così come mi batto nelle lotte delle lavoratrici nelle fabbriche, lo faccio con la stessa passione affinché le/i sexworker possano essere riconosciut* come qualsiasi altro settore, a partire dalle loro istanze, dalle pratiche di auto tutela, dai progetti che costruiscono. Negare le loro esistenze significa condannare alla clandestinità ed esporre allo sfruttamento. Si possono costruire dal basso delle reti fra i/le lavoratori/lavoratrici e serve il contributo di alleat*.

Trovo profondamente borghese il perbenismo con cui si blatera delle “altre” vite e delle vite/scelte altrui. Lo scrivo da bianca, occidentale, che ha studiato nelle scuole di un’Europa che sfrutta milioni di migranti per fare i lavori umili e si barrica dietro alle associazioni di donne che firmano documenti contro la prostituzione. Le stesse donne che magari nelle loro case hanno la migrante a fare la domestica o che filano dritto davanti alle addette delle pulizie nei centri commerciali, dove possono fare shopping. Le stesse donne che nelle loro case hanno oggetti prodotti nelle fabbriche da donne sfruttate, che indossano vestiti prodotti da manodopera straniera sfruttata… ma questo è un altro tema. Ciò che mi preme è smascherare il discorso stigmatizzante sul sexwork perché distribuisce “valore” diverso ai corpi e alle vite delle persone, per cui alcune sono da “redimere” secondo morale, mentre le altre possono benissimo crepare. Sarebbe infatti troppo scomodo rimettere in discussione il nostro stile di vita occidentale bianco… meglio spostare l’attenzione su chi invece si autodetermina per condannar*.

Appoggiare le/i sexworker in un periodo come questo con un progetto di solidarietà significa non far rimanere nessun* da sol*: questo è ciò che il femminismo insegna.

Non potrò contribuire perché la pandemia ha messo anche me in difficoltà finanziarie. Posso però esprimere la mia solidarietà ed il mio sostegno politico.

Un abbraccio,

Maddy Manca

Non saremo “congiunti” ma unite nella lotta

B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.

Non saremo “congiunti”, ma unite nella lotta! Comunicato sulla “fase 2” dell’emergenza COVID-19

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B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

????L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (del 26 aprile 2020) è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

????Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

????Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

????Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

????State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.

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Aggiornamento: Il 3 maggio 2020 sono state pubblicate sul sito del governo le FAQ che chiariscono che i “congiunti” cui si può fare visita sono “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)“.

Per noi, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo non sono necessariamente le coppie di fidanzati/e, ma putroppo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio alla stampa indicano proprio questa interpretazione. E’ facile immaginare che interpretazione ne daranno le forze dell’ordine. Non sappiamo che interpretazione ne darebbe un giudice in caso di constestazione della multa, ma sappiamo che questo non è uno strumento accessibile per tutti, nè agevole.

Qualsiasi cosa decidiate di fare per stare in contatto con le persone a voi care, vi invitiamo a valutare tutti gli strumenti possibili per minimizzare i rischi di contagio per voi stess*, per loro e per tuttu senza rinunciare a vivere e coltivare i vostri affetti (mascherine, distanza, igiene, magari andarci in bici e non in autobus ecc.), non in nome dell’obbedienza a un decreto ma prima di tutto in nome della salute come bene comune.

Punto di vista di B-Side Pride su Violenza di genere e dei generi

Partiamo dalle nostre esperienze di vita e dall’intersezione tra diverse traiettorie di oppressione per costruire un posizionamento critico rispetto al binarismo di genere obbligato e naturalizzato così come alla costruzione del genere. Dall’inizio alla fine della nostra vita veniamo socializzat@ come uomini e donne, riconducendo l’identità di genere al sesso assegnato alla nascita. Tale binarismo è dato per assunto in quanto prima cellula su cui si fondano le strutture della società eteropatriarcale: la coppia eterosessuale, la famiglia, e a seguire tutti i corpi sociali.

Il mantenimento del binarismo di genere, in regime di eterosessualità obbligatoria, è strettamente necessario alla riproduzione sociale e si trova alla base di ogni forma di violenza di genere e del genere. Questi due tipi di violenza condividono lo stesso campo discorsivo e sono strettamente legati alle modalità in cui la disparità di potere organizza la violenza strutturale. La violenza di genere si manifesta, dal momento che il genere maschile detiene il privilegio e lo esercita in forma di dominio e prevaricazione, sottomettendo – a partire dalle donne – ogni altra soggettività “subalterna”; mentre la violenza del genere si genera dalla normalizzazione e dalla naturalizzazione del comportamento eterosessuale e dell’identità di genere a partire dalle caratteristiche fisiche e riproduttive del corpo che si abita, per cui tutti i comportamenti che non riflettono la norma sociale, di conseguenza, si considerano “devianti” e sono esposti a varie forme di violenza sociale, da quella fisica all’isolamento. Dalla parzialità e pluralità del nostro vissuto ci è chiaro che la violenza è strutturale e si articola e si riproduce in tutti i luoghi che quotidianamente attraversiamo e nelle relazioni che intessiamo.
Il patriarcato è alla base della cultura capitalistica e colonialista ed è determinante poiché garantisce l’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento che rispondono alle logiche del profitto e dell’accumulazione capitalistica. Il sistema si alimenta e trae vantaggio economico dallo sfruttamento della donna e del suo lavoro riproduttivo e di cura non retribuito, del quale è resa unica responsabile e nella cui vita ha forti ripercussioni pratiche. Il capitalismo si avvantaggia, inoltre, di altre forme di subordinazione culturale basate sul genere, sulla classe e sui continui processi di razzializzazione al fine di mantenere lo status quo e l’ordine economico dedito al profitto di pochi. Il controllo della sessualità e della riproduzione diventano due strumenti determinanti nel sostentamento del sistema capitalistico, andando a ridefinire con nettezza i confini dei nostri corpi e le loro possibilità.

“Il buon padre di famiglia” e il “bravo e onesto cittadino” sono state le due figure maschili che si sono scambiate il ruolo di guida nella società fino ad adesso. La loro guida è stata silenziosa ma efficace: un personaggio caricaturale a cui assomigliare, a cui dare il volto dei protagonisti della cultura pop e dei modelli scolastici. Un uomo che non deve chiedere mai, e allo stesso tempo che ha bisogno di una donna da proteggere con cui completare la sua vita. Un uomo che non può piangere, e che deve dimostrare la sua forza ad ogni costo. Un uomo così è il prototipo su cui le nostre relazioni si sono infrante, i nostri diritti calpestati, le nostre soggettività non riconosciute, le nostre fragilità usate come debolezze. L’amante geloso, che ama così tanto da uccidere, non è tanto diverso dal capo di stato che per amore del suo paese deve combattere “con ogni mezzo necessario”, anche se questo significa guerra e il calpestio dei diritti umani.
In Italia siamo tristemente abituat@ a vivere episodi di violenza sulle donne e sulle persone queer: deteniamo inoltre il primato in Europa per omicidi di persone trans, in costante aumento rispetto agli anni precedenti. Le famiglie e gli affetti sono spesso i primi ad essere gli autori delle violenze, che durante la reclusione causata dalla pandemia di Covid abbiamo visto crescere esponenzialmente.
A partire dall’infanzia e adolescenza, in cui famiglia e scuola sono centrali per lo sviluppo della persona, ci si vede inquadrat* in un sistema di regole precise, che disciplinano i nostri corpi e le nostre vite in ogni particolare: assistiamo costantemente a episodi di bullismo omofo e a un sistema educativo che riproduce il binarismo di genere, mentre invisibilizza strutturalmente forme diverse di soggettività. L’abuso psicologico, lo stress e l’insicurezza rispetto alla realtà scolastica sono troppo spesso una realtà bruciante per le persone queer, che si vedono sprovviste di strumenti per reagire davanti a situazioni tutt’altro che adeguate al benessere psicofisico della persona. All’università ci si confronta ancora una volta con saperi eteronormativi e coloniali, che rimuovono sistematicamente donne e soggettività non conformi: dai corsi di medicina, in cui in corpi di donne, persone trans e intersex vengono letti solo in un’ottica patologizzante, a quelli di pedagogia, la cui struttura riflette fortemente l’impianto familistico indispensabile per la riproduzione sociale del sistema capitalistico. Ancora una volta le persone trans sono tra i soggetti più colpiti dalle asimmetrie che caratterizzano gli spazi universitari: basti pensare alla Carriera Alias, fornita solo in alcuni atenei nel panorama accademico italiano.
Nel nostro paese siamo ancora una volta abituat@ alla presenza fortemente ingerenze delle associazioni cattoliche e antiabortiste, soprattutto nei corsi di medicina: caso emblematico è quello del Campus Biomedico di Roma che presenta nel suo Statuto riferimenti all’aborto come “come crimini in base alla legge naturale”.
Il controllo dei corpi delle donne e delle soggettività non conformi si esprime anche attraverso la negazione del diritto alla salute. Questo è particolarmente evidente ancora una volta nel caso dell’aborto, che viene costantemente osteggiato attraverso la criminalizzazione della pratica abortiva, caratterizzata da un fortissimo stigma. L’obiezione di coscienza in alcune regioni raggiunge percentuali altissime, come il Molise dove le percentuali di ginecologi obiettori è del 96,4%, la Basilicata dove è dell’88%, la Sicilia con 83,2%, Bolzano con 85,2%: questi numeri si traducono nell’impossibilità fattuale di abortire, rendendo ancora più evidente la sottrazione continua alle donne dei propri diritti riproduttivi e non riproduttivi. In questo giocano senza dubbio un ruolo fondamentale il saldo monopolio della riproduzione nelle mani dello Stato-Nazione e l’ingerenza della Chiesa Cattolica negli ospedali e nei consultori, che collaborano per lo stesso obiettivo: il mantenimento di ogni cellula su cui si basa la società patriarcale, a partire proprio dalla famiglia e dalla procreazione al suo interno.
Questo quadro generale spiega bene anche lo scarso utilizzo della RU486, arrivata in Italia solo nel 2009 e a cui si ricorre solo nel 17,8% dei casi. La pillola, per quanto sia un metodo molto meno invasivo, viene generalmente scartata in favore dell’aborto chirurgico, con conseguente ospedalizzazione della persona e ulteriore patologizzazione della stessa. Una della battaglie più importanti di questi anni, portata avanti da Non Una di Meno insieme a collettivi come Obiezione Respinta e da reti come quella di ginecologh@, ostertich@ e professionist@ sanitarie di Pro-Choice, è stata proprio la rivendicazione per il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito, che nei tempi del COVID-19 si è rafforzata, concentrandosi sull’adozione sistematica della RU486 e sui servizi di telemedicina per la pratica abortiva, particolarmente impellenti nel momento che stiamo vivendo.
E se in questa fase ci siamo ripetut@ molto che non vogliamo tornare alla normalità perché era il problema, neanche in tema di relazioni esiste una normalità, monolitica e normativa, a cui vogliamo tornare: la società capitalista e patriarcale, infatti, prevede solo una forma di codificazione di queste ultime, ossia la coppia monogama eterosessuale basata sull’amore romantico, che viene rappresentata come unico modello possibile. Sappiamo bene che non esistono forme migliori di altre: l’unità di misura non è quante persone sono coinvolte, né la definizione che si danno o non si danno o la gerarchizzazione di quei rapporti, ma la comunicazione e la continua ricerca del consenso e del benessere di tutte le persone coinvolte. In questo, la pratica transfemminista gioca un ruolo fondamentale: come un prisma colpito dalla luce, il transfemminismo rompe le certezze delle relazioni su cui si basa la società patriarcale, restituendo per diffrazioni infinite combinazioni inedite, favolose e dissidenti.
Altro spazio di riproduzione dell’esistente determinante sono le istituzioni, di stampo reazionario e bigotto, spesso tristemente caratterizzate dall’utilizzo di politiche securitarie. Nella loro funzione normativa e repressiva sono coadiuvate dalla pervasività di un discorso politico, culturale e sociale che lascia che l’esistente si riproduca senza sconvolgimenti, mantenendo intatte le disuguaglianze e le ingiustizie: un ruolo determinante è giocato dalle realtà di estremismo cattolico, che continuano a diffondere con tutti i mezzi a diposizione retoriche reazionarie strutturate su un impianto familistico, eteropatriarcale e fortemente discriminatorio nei confronti delle soggettività non conformi, attraverso il perpetuamento della fantomatica ideologia gender
Recentissima è la dichiarazione del papa emerito Joseph Ratzinger, che attribuisce all’aborto e ai matrimoni omosessuali come colpevoli della crisi societaria contemporanea.
Tale retorica è stata il fil rouge XIII Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Families, WCF) tenutosi a Verona nel marzo 2019 dove si è riunito il movimento globale antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI nonché tre importanti ministri del governo italiano: le istituzioni neofondamentaliste e neoconservatrici risultano ancora una volta essere legate a doppio giro con le forze delle destre neofasciste.
Tuttavia nella città di Verona, una delle più salde roccaforti della destra nel nostro paese, si sono riversate migliaia di attivist*, guidate dalla forza propulsiva del movimento transfemminista di Non Una di Meno e di tantissime altre associazioni e collettivi.
I tribunali risultano come l’ennesimo spazio in cui si determina la riproduzione della società eteropatriarcale. La classificazione binaria maschio-femmina rende inattuabile per tutte le persone non-binarie la possibilità di optare, alle stesse condizioni date per le persone trans, per un genere anagrafico che contribuisca a lenire le sofferenze psichiche derivanti dall’asimmetria tra la percezione di sé quale essere sociale e la contrastante collocazione legale. Lo stato italiano non offre la possibilità alla persona non-binaria di autodeterminarsi, di conseguenza nessun documento rilasciato dallo Stato Italiano prevede l’esistenza delle persone non binarie – agender, genderqueer, fluid etc – obbligandole a dichiararsi sia ufficialmente che in contesti informali col sesso di nascita. Ad oggi il riconoscimento ufficiale, sociale e legale della persona trans in Italia avviene dopo un lungo processo di tappe fisse e prestabilite in cui la persona è obbligata a seguire un iter medico e psicologico imposto dall’alto.

Punto di vista di bside su Trans

B-Side Pride lotta per smontare l’idea che esistano due soli generi e che siano naturalmente legati a due soli sessi anatomici, perchè su questa idea si basano l’oppressione e la violenza di genere e dei generi. E’ una lotta che si svolge allo stesso tempo sul piano della cultura, della salute, delle tecnologie biomediche, dell’organizzazione sociale ed economica. Le persone trans sono in prima linea in questa lotta, ma è una lotta che in realtà riguarda tutt*, perchè anche se in modi e in misura diversa, tutt* siamo oppress* dall’imperativo sociale di adeguarci ai canoni dei due generi imposti. Per lo stesso motivo, il punto di vista trans è prezioso in tutti gli ambiti della nostra lotta e non lo releghiamo alle questioni “specificamente trans”, come troppo spesso accade.  
L’esperienza trans è molto variegata e complessa. Ci sono persone trans* che si ritrovano in immaginari non binari e che vogliono essere riconosciute come tali. Ci sono persone trans* che pur percependosi soggettivamente al di fuori della categoria binaria uomo/donna, sentono il bisogno di un riconoscimento sociale, legale o medico che qualcosa di binario ce l’ha, perchè lo desiderano o semplicemente perchè è l’unica soluzione sostenibile per loro in un  contesto sociale in cui la presentazione di genere non conforme alla norma è severamente punita. E ci sono persone trans che si percepiscono come assolutamente donne o assolutamente uomini, che sentono propria la narrativa di essere nat* nel corpo sbagliato. Sia le persone non binary che le altre possono avere bisogno e desiderio di intervenire sul loro corpo con cosmetici, ormoni, chirurgia e altro. Non rivendichiamo nessuno di questi vissuti come l’unico possibile o l’unico autentico e rifiutiamo narrative escludenti che implicitamente o esplicitamente suggeriscono che non sei “veramente” trans se non vuoi intraprendere alcuni dei passaggi medici o legali classicamente associati ad una transizione. D’altra parte, rifiutiamo quei discorsi che suggeriscono che l’identità non binaria sia in qualche modo più rivoluzionaria, più destabilizzante per il sistema dei generi, o più… “cool”. Il sistema di genere in cui viviamo si fonda sulla costruzione sociale naturalizzata che esistano “naturalmente” solo due generi,  ma anche e soprattutto sul fatto che il genere è assegnato dall’esterno a partire dal momento in cui nasci sulla base dei genitali. Uscire dalla casella assegnata alla nascita è innegabilmente destabilizzante per il sistema.
Sul piano individuale, non ci sembra abbia senso definirci “binary” / “non binary” in base alle tecnologie del corpo che decidiamo di usare o non usare, nè tanto meno in base alla percezione e lettura altrui. Sul piano collettivo, la nostra visione è anti-binaria non perchè siamo tutt* di genere fluido, ma perchè politicamente ci battiamo per costruire una cultura in cui i generi non siano imposti, in cui la creatività nell’espressione di genere non sia sanzionata, in cui le tecniche e le tecnologie biomediche siano al servizio del benessere e dell’autodeterminazione delle persone e non a sorveglianza dei confini fra “maschile” e “femminile” e a servizio del mantenimento del sistema sociale per come è. 
Vivere ed esprimere un genere diverso da quello assegnato alla nascita, o diverso dai due generi canonici, non è di per sè un processo drammatico e doloroso: sono i pregiudizi, le discriminazioni, la violenza del contesto intorno a farlo diventare tale. Lottare contro tutto questo e creare reti di solidarietà e mutuo riconoscimento trans, frocie e lelle è un  modo per far emergere la nostra euforia di genere, il piacere di esprimere il genere che sentiamo più nostro insieme alle/agli altr*, alla faccia di chi vorrebbe trasformarlo in tragedia. 
          
      
Anche il lavoro di psicologi/e che dovrebbe essere un servizio per la salute, garantito e accessibile per le persone trans come per tutt*, una risorsa di cui potersi avvalere se se ne sente il bisogno e se lo si sceglie, e non un’imposizione. 
Oggi per accedere alla chirurgia le persone trans devono ottenere l’autorizzazione di un tribunale, per avere gli ormoni devono avere la ricetta di un medico specialista, e secondo il protocollo applicato nella maggior parte d’Italia prima di averla devono necessariamente vedere uno psicologo per almeno 6 mesi. Per cambiare il sesso anagrafico e il nome, poi, bisogna affrontare un altro iter in tribunale, dove l’operazione chirurgica di rimozione degli organi riproduttivi è ancora considerata da molti giudici la “prova” decisiva. Oltre a questo le persone trans affrontano ogni giorno discriminazioni nell’accesso al lavoro, alla casa, ai servizi sanitari. 
Ci battiamo insieme: 
per essere liber@ di vederci riconosciuta la nostra identità ed espressione di genere senza discriminazioni
per essere liber@ di scegliere come attuare il nostro percorso di transizione, senza intermediari giuridici
per la gratuità delle terapie ormonali sostitutive e mantenimento di ogni trattamento medico-chirurgico, per garantire il nostro pieno benessere psico-fisico e la nostra salute sessuale 
per poter cambiare autonomamente i nostri dati anagrafici, con la sola nostra attestazione 
per trovare finalmente nel discorso pubblico e nei media rappresentazioni non pietistiche e drammatiche delle persone trans 
per fermare gli interventi medici su neonati e minori intersex! Per il diritto dei neonati intersex di vedersi assegnato un genere neutro o di non vedersi assegnato alcun genere, fino alla libera scelta dell’interessat@
per fermare ogni tipo di terapia riparativa per orientamento sessuale, identità di genere ed espressione di genere, 
per vedere rispettata l’identità trans in ogni contesto sociale, dalle scuole ai posti di lavoro al seggio elettorale ai servizi sanitari, e di conseguenza per tutti i cambiamenti necessari in questo senso nella legislazione nazionale ma anche nella legislazione locale, nell’organizzazione dei servizi, degli uffici, degli spazi, nei regolamenti, nelle prassi, nelle abitudini e nella cultura. 
per avere tutt@ accesso a casa, reddito e diritti sul lavoro! Casa e reddito sono condizioni materiali minime per il nostro benessere: un ambiente domestico ostile, il venire cacciat@ di casa per la nostra identità o la difficoltà di trovare un lavoro sono ostacoli strutturali ai nostri percorsi e alle nostre transizioni.
B Side Pride aderisce alla piattaforma per la riforma della legge 164  https://mit-italia.it/una-proposta-di-piattaforma-per-la-riforma-della-legge-164-82/          

Il punto di vista di B-Side Pride su Migrazioni, Asilo, Antirazzismo

B-side pride crede nella libertà di transitare attraverso i generi e attraverso i confini. 
Froci, lesbiche, trans, dissidenti sessuali e donne in cerca di libertà si muovono da ogni parte del mondo – che sia dal Marocco o dalla Libia o dalla provincia italiana – alla ricerca di un posto più accogliente dove vivere.
 
Nei luoghi di arrivo ricostruiscono reti di affetto e solidarietà che ci mostrano come la famiglia basata sul matrimonio e i legami di sangue non è l’unica forma di vita possibile.  
 
Le migrazioni di massa sono un processo che non si può fermare, e che affonda le radici nell’iniqua distribuzione della ricchezza fra paesi del cosiddetto Nord e Sud del mondo (e in piccolo anche fra Nord e Sud d’Italia). Questa distribuzione non equa non è dovuta a cause naturali ma agli esiti storici del colonialismo perpetrato dai paesi europei. Inoltre molte persone fuggono dalle guerre, nelle quali i paesi occidentali hanno spesso pesanti responsabilità. 

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