Molto più di Zan!
Siamo froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, rifugiat*, razzializzate, donne, lesbiche e lesbicx. Siamo transfemministe. Siamo corpi desideranti, e vogliamo essere libere dalla violenza strutturale che l’eteropatriarcato ci impone ogni giorno. Per liberarci serve molto di più di una legge, lo sappiamo, per questo la nostra lotta non si è mai fermata. Chiediamo molto più della legge Zan, perché non ci basta inasprire le pene a costo zero, ma vogliamo un cambiamento radicale della società che ci opprime.
Il dibattito sulla legge Zan è lo specchio della stessa violenza che viviamo ogni giorno: persino quando si parla dei nostri corpi le parole sono quelle degli oppressori. La nostra presa di parola vale molto di più di quella di chi scende in piazza in difesa del proprio privilegio, rivendicando il diritto alla violenza e chiamandolo libertà. La nostra presa di parola vale molto di più di quella di qualche sedicente femminista, intenta a riprodurre il controllo sui nostri corpi che ha imparato dal patriarcato. La nostra presa di parola vale molto di più, perché è di noi che si sta parlando.
Vogliamo molto di più di una legge incentrata sui dispositivi punitivi. Lo abbiamo detto a Verona con Non Una Di Meno, lo abbiamo detto nelle piazze favolose del pride transfemminista queer, e lo diremo di nuovo questo sabato. Il dibattito sulla legge contro l’omolesbobitransfobia è l’ennesimo tentativo di trattare delle garanzie giuridiche minime come una merce di scambio, in una società che ancora non riconosce la nostra esistenza.
Il contesto pandemico ha dimostrato quanto la legge italiana sia espressione del patriarcato e del binarismo di genere. È risultato evidente nell’imbarazzante graduatoria degli affetti stilata dal governo all’avvio della Fase 2, rigidamente vincolati a legami di sangue o di relazioni eteronormate. Ancora più violentemente, si è imposta sui corpi delle donne e delle soggettività femminilizzate costrette nelle proprie case insieme a compagni e padri violenti.
Per cambiare questa realtà non basta inasprire le pene: ciò che serve è un cambiamento radicale del presente. Sappiamo anche che la violenza quotidiana subita da persone queer, trans e dissidenti difficilmente viene a galla proprio perché denunciarla significa esporsi nuovamente ad essa. Ma sappiamo anche che chi si sta opponendo a questa legge di questa violenza è complice. Negare che esistano forme di violenza indirizzate contro esperienze di genere che non rientrano nei ruoli prescritti da questa società patriarcale significa legittimare che migliaia di persone siano oppresse e precarizzate più intensamente a causa di quegli stessi desideri dissidenti e che non abbiano strutture alle quali rivolgersi quando subiscono violenza, significa negare che la discriminazione produce disuguaglianza economica e sociale.
Riconoscendo quindi che l’omolesbobitransfobia, come la violenza di genere e del genere, come la misoginia, non è un atteggiamento psicologico individuale, non è una violenza episodica, non è una mera discriminazione correggibile con una legge, ma è sistemica e strutturale, chiediamo molto di più del ddl Zan. C’è bisogno di agire in prevenzione nelle scuole. Se da un lato le scuole sono luoghi dove molt* persone lgbtqi possono stare lontano da famiglie violente e creare comunità in cui riconoscersi, allo stesso tempo spesso è anche il luogo in cui si riproduce la violenza sistemica. Vogliamo un cambiamento radicale della scuola, una revisione dei programmi e dei libri di testo, formazione per le insegnanti, educazione sessuale, affettiva e alle differenze, soldi. La scuola deve essere il luogo dove vengono abbattute le barriere di genere, classe, razza, orientamento sessuale. Solo così si potrà contrastare l’omolesbobitransfobia e non limitarsi a punirla.
C’è bisogno di rafforzare, in tutte le forme e luoghi possibili, i centri antiviolenza. Negli ultimi anni abbiamo visto un generale disinteresse verso i centri antiviolenza, lasciati senza finanziamenti o minacciati di chiusura, da ultimo l’esperienza di Lucha y Siesta a Roma. Noi chiediamo di più, non solo che questi centri non vengano depotenziati, ma anche la creazione di centri antiviolenza lgbt autogestiti.
C’è bisogno di un reddito di autodeterminazione, universale, individuale, slegato dal lavoro, per emanciparsi dalle famiglie di origine e sottrasi alla violenza domestica e anche come risarcimento per essere dell* bambin* e adolescenti queer in una società eteropatriarcale!
Per questo sabato 11 luglio saremo nuovamente in piazza a Bologna contro la violenza di genere e dei generi, per chiedere che sia riconosciuta la natura sistemica della violenza che colpisce tuttx noi. Il transfemminismo produce relazioni dissidenti e soggettività autodeterminate, che sono gli unici anticorpi possibili di fronte alla violenza strutturale dell’eteropatriarcato. Di fronte a questa violenza torniamo in piazza, per chiedere molto più della legge Zan! Dichiariamo lo sciopero permanente dai generi imposti e normalizzati! Alla reazione di gender panic causata dal solo nominare il “genere”, rispondiamo alzando la posta: noi siamo già oltre il panico, siamo paniche!
#genderpanic #bsidepride #nonunadimeno #ddlzan
I credits per la favolosa grafica vanno ad AthenA! Grazie!
11/07/2020 Piazza Nettuno dalle 18:00 alle 21:00