Il Campo Innocente: COME STIAMO | Kit di pronta emergenza da portare con sé in caso di improvvisa ripartenza del sistema arte e spettacolo in era post-pandemica

Qui trovate un fondamentale intervento sulla riapertura dei teatri e sull’importanza di dire no. Proprio oggi, infatti, riparte il mondo dell’arte ma con grosse disparità materiali, tanto da portare tant* compagn* del settore a prendere parola (femminista e transfemminista) per dare visibilità e dignità a tuttu quellu che non potranno partecipare a questa “celebrazione”…

Ecco qui il testo di Il Campo Innocente, blog che

raccoglie l’azione di artist* e lavorator* dello spettacolo che pongono la questione della violenza, del sessismo e della precarietà nel mondo artistico.

(Qui la loro pagina FB)

COME STIAMO | Kit di pronta emergenza da portare con sé in caso di improvvisa ripartenza del sistema arte e spettacolo in era post-pandemica

 
Descrizione Immagine: al centro dell’immagine appare la parola NO scritta maiuscola in nero. Sullo sfondo diverse sfumature di azzurro, verde e lilla in tinte pastello.

Come stiamo? Bene, no.

Lunedì 15 giugno i teatri e i centri per l’arte dal vivo riaprono. A tutti i costi? A quale costo?  Ripartire, ma come? A dire la verità, non ci siamo mai veramente fermat_ nel produrre materiali artistici – a volte d’intrattenimento, a volte di approfondimento, a volte per puro piacere narcisista –, sempre in 2D. Ora che il carbone tornerà a bruciare nella locomotiva e tutto riprenderà come prima, posso immaginare che: alcun_ saranno sedut_ in prima classe, altr_ in seconda e altr_ ancora a inseguire il treno di corsa.

Se prima di 100 lavoravano in 10, ora saremo ancora meno: chi è da sol_ in scena? Chi ha formati “più snelli”? Chi è un nome? Di certo chi riuscirà ad adattare i lavori. E tutto il resto? Senza nuovi finanziamenti pubblici e senza misure di reddito, che cosa accadrà?

Allora bene, no: al lavoro a tutti i costi, al fare senza condizioni. Vorrei dire no se altr_ non hanno alcuna scelta, se tant_ non sono neanche interpellat_. Vorrei dire no ma non vorrei essere sol_. 

Il virus è corpo mescolato a corpi altri, umani e non umani – mi insegna che parlare in termini corporativi non serve a niente: il lavoro artistico non è un’eccezione, non è migliore di altri, non si merita di più. Preferirei non avere diritti e riconoscimenti che si fondano su criteri escludenti – non vogliamo albi professionali né categorie settoriali.

La pandemia ha scatenato la più visibile crisi della cura mai verificata e – d’improvviso – tutti i lavori di riproduzione sono diventati indispensabili: chi cura i corpi dell_ altr_, chi si prende cura del corpo dell’altr_, chi consegna il cibo, nelle case, in bici, nei supermercati, nei magazzini, chi insegna a scuola, chi si occupa di bambine e bambini, chi scrive, chi svolge il lavoro domestico, il lavoro invisibile, il lavoro sociale, il lavoro sessuale, il lavoro relazionale.

Il “mondo dell’arte” non è un altro mondo.

Non è un mondo a parte, stando “a parte” non capiremo nulla, non otterremo nulla. Tu che fai per vivere? Solo l’artista? Lavoro come interprete, creo progetti miei, conduco seminari e laboratori, faccio progetti nelle scuole e didattica diffusa, faccio traduzioni, scrivo, lavoro al bar, al ristorante, nei catering, faccio musica, grafica, l_ camerier_, babysitter, ricerca all’università, l_ tecnic_ luci. Faccio l’artista, anche. È tempo forse di riunire i mondi? È tempo di un’ecologia politica femminista dell’arte: l’economia di chi fa arte è un’economia composita. Invece di nasconderlo, potrebbe essere l’inizio per costruire alleanze tra ecosistemi.

Vorrei che i soldi delle residenze e delle produzioni, dei bandi e dei circuiti venissero investiti per permetterci di fare ricerca, perché questo tempo non lo conosciamo e se non lo attraversiamo e pratichiamo saremo sempre più lontan_ dal resto del mondo. Vorrei che questo tempo venisse usato per permettere a tutto il comparto tecnico di studiare e aggiornarsi sotto compenso. I ritmi della produzione artistica sono lunghi (possono voler essere lunghi), che il mercato rispetti questi tempi senza imporre i suoi. Visto che stiamo modificando i teatri, staccando sedie e compiendo costosissime disinfestazioni, perchè non usare questo tempo per mettere finalmente i teatri a norma secondo le regole di sicurezza e accessibilità per poi poter accogliere tutt_ lavorator_? 

Vorrei che la ripartenza venisse pensata non sulla prestazione dei corpi più prestanti ma su quella di chi, nel fisico o nel cuore, necessita di altri ritmi e altre cautele. Nella pandemia e nella postpandemia non siamo tutt_ espost_ e vulnerabili allo stesso modo e nella stessa misura, asimmetrie e diseguaglianze diventano anzi più forti: donne, persone trans, non binarie, non bianche, razzializzate, disabili, malate non sono espost_ allo stesso modo di altri soggetti. 

Vorrei anche che non si pensasse solo al pubblico atletico ma anche a quello che, ad oggi, non può uscire di casa e non potrà nemmeno dopo il 15 giugno. Per chi facciamo spettacolo? Vogliamo veramente che solo persone privilegiate possano fruire delle nostre opere? 

E a proposito di privilegi, non posso ignorare la mancanza di accesso, inclusione e relazione con lavoratori/trici dello spettacolo ner_ e razzializzat_ nel teatro, nella danza e nelle arti dal vivo in Italia. L’arte non è un campo innocente nemmeno in termini di razzismo e di privilegio bianco. Di questo continuerò a parlare.

Sempre, ma da ora in poi a maggior ragione, preferirei che non venisse data per scontata la mia disponibilità, il mio tempo, le mie economie, il mio posizionamento etico-politico, le mie condizioni di salute, senza preoccuparsi di chiedere prima. Preferirei non essere coinvolt_ in progetti con il sottile ricatto di un’emergenza (ti prego non so come fare, scusami è successo all’improvviso, se dici no mi lasci nella merda) senza lasciarmi spazio di libera scelta. Preferirei non compilare una domanda di partecipazione a un bando “compatibile con il contesto dettato dalle condizioni di emergenza Covid-19”, che tanto qualcosa ci inventiamo e quell’idea che avevamo magari un’altra volta. 

Preferirei quest’anno fare solo ricerca e prove. I teatri, i festival, gli spazi di ricerca, di produzione e di residenza, le istituzioni culturali di prossimità – formali e informali – potranno farsi carico di tutto questo? Potranno farsi carico di tutte e di ciascun_? Potranno farsi carico di tutta la filiera, di tutte le disuguaglianze, degli spettacoli interrotti, di quelli saltati, di quelli mai provati ma programmati, delle maternità non tutelate in post-pandemia, dei nostri affitti non pagati, dell’incertezza del futuro, dei corpi più fragili e più esposti, dei soggetti più vulnerabili e marginalizzati, delle compagnie più periferiche? 

Servono misure di reddito, serve aprire, spostare e allargare per tutt_ e per ciascun_ i confini di un welfare troppo stretto. Servono pratiche di mutualismo perché la precarietà, l’intermittenza e il ricatto saranno sempre più violenti ed escludenti nella crisi post-pandemica. Vogliamo arte e cultura pubbliche. Vogliamo il diritto al reddito per tutto il lavoro non pagato che stiamo già svolgendo, che abbiamo sempre fatto: non siamo in debito, non lo siamo mai stat_. 

E quindi ripartire a tutti i costi e fare finta che non sia successo niente? 

Bene, no. Preferirei di no

Bside pride verso una piazza pride transfemministaqueer il 27/06

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“Bisogni, desideri, lotta!” B-side Pride invita a un’assemblea pubblica virtuale per organizzare una piazza Pride transfemminista queer il 27 giugno!

Poco più di un anno fa, il B-side Pride ha iniziato un percorso di rete autorganizzata per ripoliticizzare il Pride e mettere al centro le soggettività più marginalizzate: trans non binarie, migranti e razzializzate, sieropositive, sex worker, frocie non omologate, lesbiche non transfobiche. Perché con il pride rievochiamo i moti di Stonewall del 1969, che proprio da quelle persone più marginalizzate e oppresse erano animati ed è sempre necessario richiederci cosa significa oggi per noi questa giornata. Questo processo si è dato in molte città e ha fatto emergere nuovi bisogni e rivendicazioni, che in un anno di percorso nazioAnale hanno dato vita al Coordinamento per un pride transfemminista queer 2020. Il Pride era diventato in molti casi uno stanco rituale autorappresentativo svuotato di contenuti, una passerella istituzionale a uso e consumo di un associazionismo consociativo, una politica di marketing turistico per le città o una parata commerciale di marchi e corporation. Ma anche nella normalizzazione è sempre restato un momento irriducibile di lotta gaia, di comunanza e visibilità di corpi altri, parlanti lingue differenti dal sessismo eteropatriarcale e della pubblicità gay-friendly. Per questo ci chiediamo ogni anno quali rivendicazioni vogliamo mettere nel Pride a partire dai nostri bisogni, desideri e dalla materialità delle nostre vite. Da queste domande partiamo per convocare un’assemblea cittadina (https://meet.jit.si/BisogniDesideriLottaAssembleaB-SidePride) giovedì 18 giugno alle 20 alla quale invitiamo tuttu le persone lgbtiqueer, femministe, transfemministe e alleate, gruppi, collettivi singole e associazioni.

La pandemia ha travolto tutto, le nostre vite non sono più le stesse e ci siamo autorganizzate in forme di solidarietà e mutualismo queer per resistere al lockdown che per molte ha significato perdere il lavoro, restare isolate o ritornare in famiglia (da quelle famiglie da cui siamo scappate) o essere costrette a lavorare senza protezioni o al sovraccarico di lavoro di cura e smart work in casa. Per questo, come prima rivendicazione mettiamo il diritto alla salute per tutt*, l’accesso gratuito ai farmaci, agli ormoni e alle cure. E memori di un’altra epidemia alla quale molte di noi non sono sopravvissute, memori delle lotte su hiv/aids che hanno visto la nascita del movimento queer su basi mutualistiche e di lotta sulla salute, chiediamo anche di non essere pazienti infantilizzati e creiamo autoresponsabilizzazione e consapevolezza collettive nella prevenzione e nella cura. Per questo, pensiamo di organizzare una piazza per sabato 27 giugno che sia safer, attraversabile da tutt*, munite di mascherina frocia e guanti da fist fucking o da casalingua, per dire che il distanziamento fisico non è distanziamento sociale; che le nostre reti di sorellanza sono più intense e necessarie che mai, che non siamo soltanto congiunte in coppie stabili, ma siamo unite nella lotta; che produciamo parentele spurie e s/famiglie e altre forme di intimità che vanno oltre il matrimonio e la riproduzione della società eternormativa e binaria; che autorganizziamo altre forme di socialità, affetti, produzione e circolazione di beni e risorse.

Pensiamo collettivamente per il 27 giugno a una piazza orgogliosa, favolosa, antirazzista, intersezionale, degenere, puttana, frocia, lella e trans non binaria, sierocoinvolta, che dica fortemente che non chiediamo solo riconoscimento delle coppie gay o della discriminazione che subiamo, ma redistribuzione di risorse, reddito di autodeterminazione come risarcimento per tutta la violenza eteropatriarcale che subiamo fin da prima di nascere, accesso e autogestione della salute e dei saperi, educazione alle differenze, superamento della 164, decriminalizzazione del lavoro sessuale, permesso di soggiorno europeo. Chiediamo tutto questo per costruire collettivamente le condizioni per il superamento di una società eteropatriarcale e neoliberale che vuole continuare a sfruttare corpi, popolazioni, specie e territori per il profitto.

Perché le vite queer, le vite nere, le vite frocie, le vite trans valgono e non torneremo alla normalità, perché per noi la normalità era già il problema.

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English:

“Needs, desires, struggle!” B-side Pride invites to a virtual public assembly to organize a queer transfeminist Pride event on June 27!

Over a year ago, B-side Pride started a self-organized network in order to re-politicize Pride and to focus on the most marginalized subjectivities: non-binary trans people, migrants and racialized LGBTQIA+ people, HIV-positive queers, sex workers, non-conforming queers, non transphobic lesbians. Through Pride we recall the 1969’s Stonewall movement, animated by marginalized and oppressed black/latinx/poc queers, and we believe that it is always necessary to ask ourselves what does that beginning means for us today. This kind of reflection and actions has occurred in many cities and has brought out new needs and demands, which, in one year of natioAnal initiative, have led to the creation of a “Network for a 2020 queer transfeminist Pride”. Pride has become, in many cases, a tired self-representative ritual emptied of content, an institutional runway for the use and consumption of consociational associations, a city tourism marketing policy or a commercial parade of brands and corporations. But even if Pride has been “normalized” there has always been an irreducible moment of queer struggle, commonality and visibility of different bodies, speaking different languages but similar when refusing together heteropatriarchal sexism and gay-friendly advertising. For this reason, we ask ourselves every year which demands we need to fight for during Prides, starting from our needs, desires and materiality of lives. These demands will be the opening theme of a public assembly (https://meet.jit.si/BisogniDesideriLottaAssembleaB-SidePride), Thursday June 18th at 8PM. We invite all lgbtiqueer, feminist, transfeminist and allied people, groups, individuals, collectives and associations. Pandemic overwhelmed everything, our lives are no longer the same and we have organized in forms of solidarity and queer mutualism to resist the lockdown, which meant for many of us: losing our job, remaining isolated or returning to our families (same families we ran away from) or being forced to work without protection or being overloaded with carework and smartwork at home. For all of this we demand health for all, free access to medicines, hormones and treatments. Remembering another epidemic and all of us who didn’t survive, remembering the struggles against HIV/aids that brought to the birth of queer movements focused on mutual help and universal health, we also demand not to be infantilized patients and for the creation of self-responsibility and collective awareness in prevention and treatment of HIV. For this reason, we plan to organize an event on Saturday June 27th which is going to be safer, where everyone can participate, equipped with queer masks and fist-fucking or housewife gloves, to say that physical distancing is not social distancing; to say that our sisterhood networks are more intense and necessary than ever, that we are not only united in stable couples, but we are united in the struggle; that we produce spurious relationships and s/families and other forms of intimacy beyond marriage and beyond the reproduction of eternal and binaristic society; that we organize other forms of sociality, affects, production and circulation of goods and resources. We collectively prepare for June 27th an event that will be proud, fabulous, anti-racist, intersectional, degenerate, sexwork positive, queer, lesbian and non-binary trans, sero-aware. We strongly say that we are not only asking for recognition of gay couples or discrimination, but for redistribution of resources, basic income for self-determination as compensation for all the heteropatriarchal violence that we suffer, access to self-managed health and knowledge, education on gender and sexual orientation, the overcoming law 164 on transition, the decriminalization of sexwork, a European residence permit. We ask for all this to collectively build the conditions for overcoming a heteropatriarchal and neoliberal society that continues exploiting bodies, populations, species and territories for profit.

Because queer lives, black lives, trans lives are worth and we will not accept to return to normality, because for us normality was already the problem.

English translation will be availabe.

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“إحتياجات ، رغبات ، نضال!”
يدعو B-side Pride إلى اجتماع عام افتراضي لتنظيم ساحة فخر ترانسوية كويير في 27 يونيو!

قبل أكثر من عام بقليل ، بدأ B-side Pride مساره عبر شبكة ذاتية التنظيم لإعادة تسييس مسيرات الفخر والتركيز على الموضوعات الأكثر تهميشًا: العابري غير البينيين ، والمهاجرون والمتعرضون لعنصرية ، والإيجابيون لفيروس نقص المناعة البشرية ، والعاملى في مجال الجنس ، و المثليين المستقليين و المثليات اللاتي ليس لديهن رهاب العبور الجنسي.لأنه بفخر نستحضر حركات ستوونول لعام 1969 ، و اللاتي بالتحديد بدأت من أولئك الأكثر تهميشًا و
المضطهدين ومن الضروري دائمًا أن نسأل الأن عما يعنيه لنا هذا اليوم.وقد جرت هذه العملية في العديد من المدن وأثارت احتياجات ومطالب جديدة
في عام واحد من المسار الوطني قاموا بإنشاء التنسيق من أجل فخر ترانسوي كوييري
2020.
أصبح الفخر في كثير من الحالات طقوسًا متعبًا ، ذاتيًا تم إفراغها من المحتوى وهو ممر مؤسسي لاستخدام واستهلاك
الجمعيات التوافقية سياسة تسويق السياحة للمدن أو عرض تجاري للعلامات التجارية والشركات..ولكن حتى في التطبيع كانت دائما هناك لحظة
لا يمكن اختزالها من النضال المثلي من القواسم المشتركة ورؤية الهيئات الأخرى المتحدثة لغات مختلفة عن التحيز الجنسي غير الرسمي والإعلان الصديق للمثليين. على
هذا نسأل أنفسنا كل عام عن مطالبنا التي نريد أن نضعها في الفخر بدءًا من احتياجاتنا ورغباتنا وماديتنا الحياتية.
من هذه الأسئلة سنبدأ في عقد جلستنا (https://meet.jit.si/BisogniDesideriLottaAssembleaB-SidePride)

الخميس 18 يونيو ، الساعة 8 مساءً ، ندعو فيه جميع الجماعات والمجموعات والمجموعات الفردية والجمعيات المتحالفة والنسوية المتحالفة.
اجتاح الوباء كل شيء ، ولم تعد حياتنا كما هي ، ونحن منظمون ذاتيًا بأشكال من التضامن والتبادل اللامع. قاوم الإغلاق الذي يعني بالنسبة للكثيرين فقدان وظيفة أو البقاء في عزلة أو العودة إلى العائلة ( تلك العائلات التي هربنا منها) أو إجبارنا على العمل بدون حماية أو العبء الزائد من الرعاية والعمل الذكي في المنزل.
لهذا ، كما ادعاءنا الأول وضعنا
الحق في الصحة للجميع ، والحصول المجاني على الأدوية والهرمونات والعلاجات. وإدراكا لوباء آخر لم ينجو منه الكثير منا ، وإدراكا منا لنضال ضد فيروس نقص المناعة البشرية / الإيدز التي شهدت ولادة حركة كوييرية على أسس متبادلة وقائمة على الصحة ، نطلب أيضا ألا نكون مرضى طفوليين ونخلق المسؤولية الذاتية والوعي الجماعي في الوقاية والعلاج.
لهذا السبب نخطط لتنظيم ساحة يوم السبت 27 يونيو لتكون أكثر أمانًا ، والتي يمكن للجميع عبورها ، ومجهزة بقناع مثلي وقفازات قبضة أو ربة منزل ، لنقول أن المسافة الجسدية ليست إبعاد اجتماعي. إن تشباكنا الإخوي أكثر كثافة وضرورية من أي وقت مضى ، وأننا لسنا متحدين في الأزواج المستقرين فحسب ، بل متحدون في النضال ؛ أننا ننتج علاقات زائفة و / أو عائلات وأشكال أخرى من الحميمية التي تتجاوز الزواج وتكاثر
المةجتمع الأبدي والثنائي ؛ لذلك
ننظم أشكال أخرى من المجتمع مؤثرة ، منتجة و تداول المنافع والموارد.
نفكر بشكل جماعي في 27 يونيو في ساحة فخورة ورائعة ومناهضة للعنصرية ومتقاطعة و جندريةو عاملة جنسيا و مثلية و عابرة غير ثنائية ، ومتعايشة إيجابية ، والتي تقول بقوة أننا لا نطلب فقط الاعتراف بالأزواج المثليين أو التمييز الذي نعاني منه ، ولكن إعادة التوزيع الموارد ، ودخل تقرير المصير كتعويض عن جميع أشكال العنف ضد الأم والطفل التي نعاني منها قبل ولادتنا ، والوصول إلى الصحة والمعرفة وإدارتهما بأنفسنا ، والتعليم من أجل الاختلافات ، والتغلب على 164 ، وإلغاء تجريم العمل الجنسي ، وتصريح الإقامة الأوروبي.
نطلب من كل هذا أن نبني بشكل جماعي الظروف للتغلب على مجتمع مغاير ابوي نيوليبرالي يريد الاستمرار في استغلال الأجسام والسكان والأنواع والأقاليم من أجل الربح. لأن الحياة الكوييرية وحياة السود والحياة المثلية والحياة العابرة تستحق ولن نعود إلى الوضع الطبيعي ، لأن الوضع الطبيعي بالنسبة لنا كان بالفعل هو المشكلة.

ملاحظة: خلال الجلسة سيكون هناك ترجمة بالعربية.

Basta razzismo, basta sfruttamento! Per la libertà di transitare tra generi e confini!

(For english version scroll below/pour la version française défiler vers le bas)

>>30M Piazza del Coordinamento Migranti (evento)

B-Side Pride si batte per la libertà di movimento e perché sia garantite a tutt*, indipendentemente dal colore della pelle e dalla nazionalità, e dallo status, riconosciuto o meno, di “vittima”. Lottiamo non solo per le libertà civili e politiche ma anche per le condizioni materiali necessarie ad esercitarlereddito,  libertà dalla violenza privata o istituzionale e accesso allo spazio pubblico e alle relazioni sociali. Per questo ci battiamo per un permesso di soggiorno europeo sganciato dal lavoro, per lo ius culturae, per la diffusione di una cultura davvero antirazzista e aperta.

La nostra posizione sul sistema attuale non può che essere di rifiuto, ma finché questo sistema sarà in piedi chiediamo almeno:
 

Leggi tutto “Basta razzismo, basta sfruttamento! Per la libertà di transitare tra generi e confini!”

Sono femminista, sono una sexworker

Abbiamo ricevuto questa bellissima lettera, che trovate pubblicata anche sul blog di Ombre Rosse.

Ringraziamo enormemente la compagna che ci ha inviato questo contributo, ora più che mai necessario perché Sin Putas No Hay Feminismo!

Sono femminista, sono una sexworker.

Scrivo questa lettera aperta a partire dal mio vissuto personale, che ho fatto tanta fatica a raccontare per queste ragioni:

  1. Lo stigma: chi lo fa o lo ha fatto in precedenza ti segna a vita

  2. Il pregiudizio: vi giudicheranno perché qualsiasi sia stato il motivo della vostra SCELTA, e sottoscrivo questa parola, non siete state abbastanza capaci di trovare un altro lavoro dignitoso.

  1. La morale sulla “vendita del corpo”, come se negli altri lavori non accadesse.

Il mondo della prostituzione è vasto vi sono tante forme per esercitare: in privato, nel web e nei locali sono le forme più conosciute. Vi è sfruttamento, come giustamente scrivono le/i attivist*, ma in fondo in quale settore lavorativo non c’è?

Io ci sono entrata insieme alla mia coinquilina quando avevo 24 anni e per tre anni è stata la mia attività principale, il salario che mi permetteva di pagare per la mia sussistenza e le spese. Eravamo stufe di farci sfruttare a Roma per pochi euro come cameriere o nei call center o nei supermercati, stufe marce delle manate sul culo nei pub da parte dei proprietari, dei contratti a nero, di essere spremute come limoni infilando 3 lavoretti di merda e dover sottostare al nero degli affitti dei padroni palazzinari. Volevamo tutto e questo lavoro ci ha permesso per tre anni di essere autonome. Certo, abbiamo scelto noi, ragazze bianche occidentali e istruite nelle scuole con il nostro diplomino utile solo ad essere sfruttate nel precariato. Abbiamo risposto ad un annuncio, ci siamo registrate come ragazze dello spettacolo, il contratto per ragazze di sala e via, è iniziata così. Per tre anni ho vissuto di notte nei locali notturni, la prestazione la stabilivamo fra di noi e sotto una certa cifra non si scendeva: una concertazione fra le stesse lavoratrici, esperienza che ho fatto fatica a trovare fuori, nel mondo diurno, che si definisce moralmente autorizzato a sfruttare.

Ho lavorato con ragazze che avevano un’alta preparazione scolastica e chi no, ragazze normalissime e soggettività Lgbtqia (sì, esattamente, riguarda anche noi) e ragazze che venivano da svariati paesi. Ora la chiamerei sorellanza perché il femminismo mi ha insegnato a trovare le parole, allora la chiamavo complicità. Certo, i primi tempi non sapevo come gestire la situazione con i clienti e cosa fare, chiedevo alle altre come si comportavano, ero impacciata. Se mi trovavo in difficoltà con le ragazze ci scambiavamo i numeri e quando si era nel locale c’erano dei segnali per interrompere il tavolo e se non potevi farlo qualcuna ti aiutava a toglierti da una situazione poco piacevole. Spesso chi era da più tempo dava consigli alle ragazze appena arrivate e sui clienti. Quando staccavo preferivo non essere sola e spesso uscivo dal locale con un’altra, quando era possibile.

Il moralismo che la nostra società ci inculca ti inibisce finché comprendi che hai consapevolezza di te stessa e. allora, vai come un treno, smonti dall’interno la gerarchia di potere e… vedi come i ruoli possono ribaltarsi. È un lavoro: si offre una prestazione. È a causa deIl moralismo che narra questo lavoro esclusivamente come mercificazione dei corpi che ancora ci ritroviamo nella diatriba tra abolizione e riconoscimento.

In questo testo descrivo la mia esperienza personale che non è uguale per tutt*, ognun* ha un suo vissuto e percezione: chi prende parola lo fa partendo da sé ed ecco perché è violenta la pratica di parlare per conto dei/delle sexworker.

Si possono creare delle solidarietà tra lavoratrici? Sì, è la mia risposta.

Ho versato i miei contributi allo Stato e ciò che più mi fa rabbrividire è che devo nascondere un pezzo della mia vita lavorativa ad altri, l’unico lavoro che io ho scelto. Il resto, infatti, è stato raccogliere ciò che avevo intorno ed essere sfruttata veramente tra capi e capetti che senza autorizzazione esercitano il potere. Questo dovrebbe farci esplodere di rabbia: lo sfruttamento sistematico nella gerarchia di potere. Lavoretti sottopagati, ricatti subiti per un salario di merda ma che ipocritamente accettiamo perché moralmente sono lavori accettabili, anche se stai vedendo le braccia, la tua vita in balìa del mercato, dove altri decideranno della tua vita… ma troviamo queste scelte più “dignitose”. Perché?

È più giusto farsi sfruttare in un qualsiasi lavoro, ma se scelgo di essere sexworker sto vendendo il mio corpo e mi sto facendo sfruttare anche se ho scelto io chi, come, dove quando? È un paradosso grosso quanto un palazzo perché mi sento più sfruttata adesso come lavoratrice che quando facevo sexwork! Lottare per avere diritti sul lavoro è sacrosanto, sia che pulisci i pavimenti, o che tu sia una cassiera, un’operaia in produzione o una cameriera: non ci sono lavoratrici e lavoratori di serie B. Trovo veramente contraddittoria la questione dello sfruttamento perché c’è chi prende parola sui/sulle sexworker e non si spende minimamente per esprimere indignazione sullo sfruttamento sistemico che avviene tutti i giorni nei luoghi di lavoro.

La prima osservazione che mi hanno sempre fatto quando ho dichiarato di essere stata una sexworker é “lo hai fatto perché sono stata costretta dagli eventi”. Sinceramente ho scelto un lavoro che mi dava un salario fra i pochi che c’erano.

-Mi hanno sfruttata?

-No, negli altri lavori invece sì, ed ancora oggi lo sono!

-Perché hai smesso? Evidentemente non reggevi la situazione…

-No! Ho cambiato lavoro come tanti altri!

Dovremmo domandarci invece: perché continuare a trattare da “salvatrici femministe” le/i sexworker? Quali sono invece le loro/nostre richieste? Dovremmo smettere di infantilizzare e cercare sempre i punti deboli delle loro/nostre ragioni o del perché fanno questo lavoro. Sono stata una sexworker e conosco benissimo lo stigma che ci si porta dietro, gli sguardi, i giudizi e pregiudizi.

Essere attivista transfemminista impegnata mi ha dato la forza di uscire fuori e, così come mi batto nelle lotte delle lavoratrici nelle fabbriche, lo faccio con la stessa passione affinché le/i sexworker possano essere riconosciut* come qualsiasi altro settore, a partire dalle loro istanze, dalle pratiche di auto tutela, dai progetti che costruiscono. Negare le loro esistenze significa condannare alla clandestinità ed esporre allo sfruttamento. Si possono costruire dal basso delle reti fra i/le lavoratori/lavoratrici e serve il contributo di alleat*.

Trovo profondamente borghese il perbenismo con cui si blatera delle “altre” vite e delle vite/scelte altrui. Lo scrivo da bianca, occidentale, che ha studiato nelle scuole di un’Europa che sfrutta milioni di migranti per fare i lavori umili e si barrica dietro alle associazioni di donne che firmano documenti contro la prostituzione. Le stesse donne che magari nelle loro case hanno la migrante a fare la domestica o che filano dritto davanti alle addette delle pulizie nei centri commerciali, dove possono fare shopping. Le stesse donne che nelle loro case hanno oggetti prodotti nelle fabbriche da donne sfruttate, che indossano vestiti prodotti da manodopera straniera sfruttata… ma questo è un altro tema. Ciò che mi preme è smascherare il discorso stigmatizzante sul sexwork perché distribuisce “valore” diverso ai corpi e alle vite delle persone, per cui alcune sono da “redimere” secondo morale, mentre le altre possono benissimo crepare. Sarebbe infatti troppo scomodo rimettere in discussione il nostro stile di vita occidentale bianco… meglio spostare l’attenzione su chi invece si autodetermina per condannar*.

Appoggiare le/i sexworker in un periodo come questo con un progetto di solidarietà significa non far rimanere nessun* da sol*: questo è ciò che il femminismo insegna.

Non potrò contribuire perché la pandemia ha messo anche me in difficoltà finanziarie. Posso però esprimere la mia solidarietà ed il mio sostegno politico.

Un abbraccio,

Maddy Manca

Pane, Paillettes e connessione. Sostieni le persone lgbitq in difficoltà economica nella crisi Covid

(english version below)

** Abbiamo lanciato un crowdfunding per sostenere lesbiche, gay, trans e queer in difficoltà economica a causa della crisi sanitaria ed economica del Covid-19, con un’attenzione particolare ai bisogni di rifugiat* e richiedenti asilo lgbitq+, alla condizione delle/dei sex workers che non lavorano a causa del covid e che sono esclus* da qualsiasi forma di sostegno statale, alla qualità della vita e del cibo, e ai bisogni immateriali, ma non meno essenziali, di comunicazione e connessione (perchè internet non è gratis anche se dovrebbe esserlo, specialmente adesso).

Questo crowdfunding è l’inizio di una cassa mutua, non un’inziativa di beneficenza. Non ci proponiamo genericamente di “aiutare i poveri”, ma di aiutarci reciprocamente e di avviare una riflessione pratica su redistribuzione, economia, bisogni, ecologia. Una riflessione più che mai necessaria di fronte all’emergenza Covid.  Leggi tutto “Pane, Paillettes e connessione. Sostieni le persone lgbitq in difficoltà economica nella crisi Covid”

School of languages and queer interculture

Italiano qui – Info about language courses Sept 2021 here 

The language school and socialization group for LGBTI people is born out of the meeting between some asylum-seeking queers and some local/ native-speakers queers from Laboratorio Smaschieramenti in the context of the initiatives leading towards the B-Side Pride 2019 in Bologna.

Since the following autumn we have been meeting twice a week at the Women’s Center (Centro di documentazione delle donne) in Bologna for some hours of socialization, dialogue, lesson and chit-chat. Sometimes we visited other city locations, too, as for example the Sala Borsa library.

For us, learning Italian is by no means neither a duty leading to integration nor an obligation. It is rather a tool of comunication that comes from a desire of encounter and relationality, both for those who teach and for those who learn. Leggi tutto “School of languages and queer interculture”

Scuola di lingue e intercultura queer

English version here

**Attenzione da settembre 2029 la scuola è di nuovo LiVe! info qui**

La scuola di lingue e intercultura queer per persone lgbitq è nata dall’incontro tra alcune froce richiedenti asilo ed alcune froce madrelingua-native italiane del Laboratorio Smaschieramenti durante le inziative di avvicinamento al B-Side Pride del 2019.

Dall’autunno successivo ci siamo riunite due volte a settimana al Centro di Documentazione delle Donne di Bologna per qualche ora di incontro, confronto, lezione e chiacchiere. A volte abbiamo fatto anche delle visite ad altri luoghi della città, come la biblioteca Sala Borsa.

Secondo noi imparare la lingua italiana non è un dovere di integrazione nè un obbligo, ma un veicolo per comunicare, che nasce da un desiderio di incontro e relazione, sia da parte di chi impara che di chi insegna. Leggi tutto “Scuola di lingue e intercultura queer”

Non saremo “congiunti”, ma unite nella lotta! Comunicato sulla “fase 2” dell’emergenza COVID-19

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B-side pride su ultimo Dpcm: che sia tolta la discriminazione, ma lottiamo per redistribuzione e pratichiamo solidarietà e mutualismo queer nella pandemia.

????L’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (del 26 aprile 2020) è segnato da una riproposizione della centralità della famiglia come unica formazione sociale rilevante. Infatti, riconosce come primari solo i legami con congiunti consanguinei che ora concede di visitare pur nel rispetto delle necessarie misure di distanziamento fisico. Inoltre, dà per scontato il lavoro riproduttivo e di cura gratuito delle donne, nel momento in cui si decide un ritorno massiccio al lavoro a scuole chiuse. Il decreto riflette lo storico mancato riconoscimento di legami affettivi non familiari e del fatto banalmente statistico che gli affetti prevalenti per molte persone non coincidono con i legami familiari.
In un momento drammatico come questo, in cui appoggiamo la necessità di limitare i contatti fisici per contenere il contagio, ci uniamo alla richiesta di tante voci del movimento lgbtiq+ di rimuovere questa discriminazione nel decreto, e proponiamo di introdurre la possibilità di autocertificare un numero ristretto di persone care o affetti primari, senza che si presuma che esse debbano essere parenti o consanguinei.

????Il mancato riconoscimento di altre forme di intimità, reti affettive e di cooperazione sociale non familistiche è anche il frutto di una cecità dello stesso movimento lgbt, che si è attestato sulla richiesta di unioni civili per le coppie dello stesso sesso e, in prospettiva, del matrimonio egualitario, che riproduce mimeticamente le forme della famiglia eterosessuale, eludendo un’analisi della famiglia tradizionale come strumento di divisione sessuale del lavoro, di estrazione del lavoro di cura e riproduttivo delle donne, oltre che luogo per eccellenza del dominio maschile eteropatriarcale. Si è persa così la connessione tra la richiesta di riconoscimento delle soggettività lgbtiq+ nelle loro differenze e la redistribuzione sociale della ricchezza. Mai come in questa pandemia risulta evidente che le soggettività lgbtiq* e la dissidenza sessuale non vivono solamente una situazione di solitudine o bisogno di relazioni affettive: l’accentuarsi della precarietà materiale ed economica, comune a larghi strati della società, rende ancora più visibile quanto la discriminazione e la mancanza di riconoscimento reiterate da questo decreto, riproducano ingiustizia sociale.

????Per tutto questo vogliamo mettere al centro il bisogno di non separare diritti civili da diritti sociali e le lotte queer per il riconoscimento da quelle per la redistribuzione delle risorse sociali e della ricchezza. La nostra risposta alla pandemia è praticare solidarietà queer, condividere risorse e mutualismo, restare connesse, autorganizzare forme di resistenza materiale che ci aiutino a sostenerci nella responsabilità di cura collettiva che assumiamo autoresponsabilizzandoci. La pandemia in corso ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i corpi e la loro interdipendenza con specie, popolazioni, territori. Ha mostrato in modo più nitido limiti e contraddizioni del modello economico e sociale che ora chiamiamo “normalità” e che non era certo un luogo sicuro e accogliente per gli anormali, ma era basato su gerarchie, violenza eteropatriarcale, inclusione differenziale. Non tutti i corpi contavano e contano allo stesso modo e non sono tutti ugualmente vulnerabili: se la gestione della pandemia ha acuito la precarietà per tutti, come queer (froce, lelle trans*, lgbtiq+, sex worker, razzializzate…) spesso ci trovavamo già tra i soggetti più marginali e ora siamo nuovamente invisibilizzat* ed esclus* anche dalle retoriche familiste di unità patriottica nella “guerra” contro il nemico invisibile, come pare evidente da questo decreto. Come queer ci mancano cose materiali e immateriali ugualmente essenziali: cibo, reddito, accesso alla salute, la socialità frocia, lo spazio pubblico, le piazze, il cruising, l’incontro dei corpi fuori dallo spazio domestico, la comunità politica nella quale potersi riconoscere che no, non è la nazione bianca eterosessuale. Per questo sentiamo l’esigenza di connetterci, di agire mutualismo e solidarietà queer, di scambiare risorse, cibo, denaro, parrucche e paiettes e di ricostruire uno spazio virtuale dove incontrarci e condividere bisogni e desideri.

????Chiuse nelle case, noi che spesso dalle case natali siamo scappate o scacciate, o costrette a lavori sociali e di cura che ci espongono al rischio contagio, continuiamo a ricostruire reti affettive e parentele che eccedono i legami di sangue e a pensare collettivamente al dopo che è già qui, alla coesistenza con il virus e alla crisi che sta portando, perché non sia il ritorno alla normalità e non sia nemmeno peggio. Prepariamo e agiamo da subito la lotta della vita contro il profitto, della cura contro la selezione, del desiderio contro la paura e ci connettiamo alle richieste di reddito di autodeterminazione, accesso alla salute pubblica per tutt* (a partire da chi non ha casa, sta in carcere o in strutture collettive come Cas e Rsa), diritto a lavorare in sicurezza, autorganizzazione della cura e riconoscimento del lavoro di riproduzione sociale come centrale. Perché non si tratta di sperare in un ritorno alla normalità, che per noi era il problema, si tratta di ripensare le basi della ri/produzione sociale ed ecologica.

????State connesse con B Side, a breve usciremo con il blog e con iniziative di crowdfunding per estendere la rete di mutualismo.

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Aggiornamento: Il 3 maggio 2020 sono state pubblicate sul sito del governo le FAQ che chiariscono che i “congiunti” cui si può fare visita sono “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)“.

Per noi, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo non sono necessariamente le coppie di fidanzati/e, ma putroppo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio alla stampa indicano proprio questa interpretazione. E’ facile immaginare che interpretazione ne daranno le forze dell’ordine. Non sappiamo che interpretazione ne darebbe un giudice in caso di constestazione della multa, ma sappiamo che questo non è uno strumento accessibile per tutti, nè agevole.

Qualsiasi cosa decidiate di fare per stare in contatto con le persone a voi care, vi invitiamo a valutare tutti gli strumenti possibili per minimizzare i rischi di contagio per voi stess*, per loro e per tuttu senza rinunciare a vivere e coltivare i vostri affetti (mascherine, distanza, igiene, magari andarci in bici e non in autobus ecc.), non in nome dell’obbedienza a un decreto ma prima di tutto in nome della salute come bene comune.

Cose che devi sapere sull’uso delle mascherine (fai-da-te e non)

Vogliamo che il gesto di portare la mascherina in pubblico sia un simbolo di cura e di responsabilità collettiva assunta dal basso di fronte a un’emergenza che si può affrontare e superare solo insieme, e non un simbolo di allarme e paura, o un’imposizione che arriva dall’alto senza un perchè. Per questo abbiamo pubblicato questo post, e per questo abbiamo pubblicato un tutorial su come fare una mascherina in casa (anche senza macchina da cucire!).

Questo post contiene:

– AVVERTENZE VALIDE SIA PER LE MASCHERINE CHIRURGICHE CHE PER LE MASCHERINE DI STOFFA

– LE COSE CHE DEVI SAPERE A PROPOSITO DELLA TUA FAVOLOSA MASCHERINA DI STOFFA

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